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valutazione dei risultati

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Nei percorsi di formazione e coaching, ogni azione o intervento ha impatto su quella successiva.

Il cambiamento positivo viene favorito da:

  • progettazione delle sequenze di stimolazioni, riscaldamento progressivo dei partecipanti o dell’organizzazione verso una sempre maggiore partecipatività;
  • stimolazione di contrasto (azioni dalla natura molto diversificata);
  • progettazione delle sequenze di contrasto, facilitare la comparazione tra diversi stati di un processo o diversi modi di essere.

Un processo di cambiamento diviso in fasi deve avere collegamenti tra fasi. Devono essere progettati

  • I momenti di overlap tematico e shift tematico (sovrapposizione, cambio di tema, passaggio del testimone, sinergia tra diverse aree di cambiamento);
  • I momenti di overlap strumentale e shift strumentale (il momento del cambio di tecnica, l’introduzione di nuove tecniche, il raccordo tra tecniche).

Il cambiamento viene rallentato o ostacolato da:

  • sequenze di eventi mal progettate;
  • azioni non precedute da fasi di riscaldamento o dalla creazione di un clima di accettazione o fiducia (coaching positivo e collaborativo);
  • necessità di ricorso eccessivo a repair e patti psicologici, per l’insorgere di meccanismi di anti-leadership e boicottaggio del processo;
  • variazioni di stato che sfuggono alla percezione, tali per cui nessun cambiamento appare evidente, anche se in realtà si è prodotto (cambiamento subliminale, sotto la soglia di percezione).
  • difficoltà nel produrre shift tematico, passaggio di tema o di target;
  • scarso grado di overlap tematico (passaggio di tecnica brusco, senza collegamenti comprensibili, ove non vi sia un patto psicologico forte a priori);
  • difficoltà nel produrre shift strumentale, cambio di strumento (abitudine verso una tecnica, trovarsi bene con la tecnica in uso e non volerla cambiare, timore del nuovo);
  • scarso grado di shift strumentale (azioni mono-tecnica o mono-canale).

Dobbiamo ricordare che non sempre le azioni consulenziali o di coaching e formazione devono essere collaborative, ma esistono anche approcci consulenziali o di coaching assertivi, soprattutto verso chi mette in campo atteggiamenti anti-leadership e di boicottaggio del processo.

La crescita assertiva di un team può infatti utilizzare strumenti che non prevedono ricorso a repair, addolcimenti o fasi di riscaldamento, ma puntano dirette all’azione, all’inclusione o esclusione (espulsione) di un soggetto dal team, se egli non risponde a requisiti indispensabili per farvi parte.

Chi pratica Deep Coaching, in altre parole, deve far salire tutti sulla propria carrozza e averli con sé in ogni fase del processo. Non sono ammessi personalismi e vizi che possono danneggiare l’intero impianto di coaching.

Dal Training Deep Coaching. Confini ed evoluzioni della formazione classica e della nuova formazione esperienziale.

La nuova formazione aziendale, e non solo, è quella esperienziale, quella che “fa succedere delle cose”, che fa accadere stimoli formativi, che lavora sulla prova ed errore, sul feedback e sull’assimilazione profonda e mai solo mnemonica.

È questo l’unico vero modo per aiutare una persona o un’impresa a evolvere.

Cambiare, evolvere. Ogni persona, ogni istituzione o azienda, fronteggia giorno dopo giorno questa necessità. L’evoluzione è il principio motore della vita: dalla capacità di evolvere dipende l’esistenza di un organismo. 

“L’evoluzione può essere necessaria soltanto a colui che si renda conto della sua situazione e della possibilità di cambiarla, e si renda conto che ha dei poteri che non usa e delle ricchezze che non vede. Ed è nel senso della presa di possesso di questi poteri e di queste ricchezze che l’evoluzione è possibile.”

George Ivanovitch Gurdjieff

Chiunque abbia tentato di evolvere, sa che il cambiamento non si “comanda”, per ottenere il cambiamento servono almeno (1) una volontà interiore di cambiare o anche solo di evolvere (senza la quale nulla accade), (2) una visione, un indirizzo, aspirazione, ideale o meta da raggiungere, più o meno strutturati, (3) la costruzione di un percorso di cambiamento, (4) strumenti efficaci e leadership per supportare le fasi, le sfide del percorso e le sue trappole o insidie. 

Il cambiamento può avvenire secondo un percorso autonomo o con l’aiuto di un professionista (change agent: counselor, terapeuta, consulente, formatore, docente o trainer, Coach, e altre accezioni varie della relazione d’aiuto). 

Il ruolo dei Coach, consulenti e trainer, è quello di fornire un supporto, una Regia che canalizzi le energie del cambiamentoverso le direzioni più produttive. Che sia una Regia Formativa, una Regia di Coaching, o una Regia del Cambiamento Organizzativo, si tratta sempre di avere un punto di osservazione “alto” dal quale guidare il processo e le sue singole fasi e la capacità di immergersi là dove si compie l’azione, là “in basso”.

In caso contrario avremmo dei comandanti di navi che non hanno mai visitato la sala motori, e questo non è bene.

Un consulente o trainer può fornire aiuto nella fase di:

  1. focalizzazione degli obiettivi, 
  2. costruzione del percorso, 
  3. individuazione di esercizi di formazione attiva esperienziale, e
  4. nella ricerca degli strumenti (tools) che accompagnano il cambiamento.

Il meta-obiettivo è creare delle condizioni favorevoli all’apprendimento e al cambiamento, ponendosi come facilitatore di questi processi.

Il cambiamento autonomo senza supporto esterno genera spesso fasi di stallo, scoraggiamento, difficoltà, o – ancora peggio – la riduzione della pulsione al cambiamento, non appena il raggiungimento di alcuni micro-obiettivi illude il soggetto che il mutamento evolutivo sia avvenuto.

Il cambiamento non riguarda solo le persone, l’azienda, lo sport o il benessere. Aziende e istituzioni richiedono sempre più spesso ai propri collaboratori e manager una forte competenza in comunicazione, problem solving, gestione di processi complessi e capacità adattive.

Tale dinamica ha prodotto la nascita di nuove figure professionali (i formatori in comunicazione, i formatori manageriali, i counselor manageriali o personali, i coach, e altre), che devono possedere un know-how specifico di elevato spessore sul fronte dei contenuti (competenze tematiche) e una capacità elevata nell’abilità di trasmetterli (competenze trasmissive) o di produrre il cambiamento (competenze incisive). 

Il problema è che essi agiscono spesso senza applicare alcuna forma di Regia. Fanno ciò che piace più al cliente o ciò che farà prendere il voto migliore nella “pagellina del docente” di fine corso. Il rischio? Non fare le cose giuste, quelle che magari non gradite, ma sono efficaci e sono di fatto la medicina migliore. Bisogna quindi sapersi destreggiare tra consapevolezza del bisogno di produrre effetto – il bisogno di risultati concreti – e il puro piacere o divertimento fine a sé stesso. Nella formazione outdoor ed esperienziale, questi quadri sono spesso ancora più confusi e gli obiettivi si confondono continuamente. 

La chiarezza del “perché facciamo questo” – di qualsiasi tecnica formativa o di coaching si tratti – va portata sempre in primo piano, e comunicata a tutti: clienti, collaboratori, membri dello staff, con grande chiarezza, sensibilità e assertività.

Parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro pochissimi.

Galileo Galilei

I consulenti di cambiamento possono (1) erogare direttamente i propri servizi di coachingcommunication training, personal training, o management training, ma anche (2) agire come “consulenti del processo formativo” in ogni area della trasmissione dei saperi, del saper essere, del saper fare, del cambiamento personale e della crescita personale e delle risorse umane. 

In questo caso, la loro funzione diventa veramente quella di “Consulente di Processo”, che aiuta la persona o l’organizzazione nel passare da un processo precedente ad uno migliore e più funzionale. Edgar Schein, autore e ricercatore, ha scritto su questa funzione di “Consulente di Processo” un intero libro[1] che invito assolutamente ad approfondire perché densissimo di ragionamenti e strumenti utili.

Il principio di base di una consulenza di processo è quello di portare una persona o un sistema (azienda, organizzazione), da X ad Y, da uno stato attuale ad uno desiderato, e di farlo con estrema chiarezza.

Se non riusciamo a spiegare ed esporre chiaramente il perché una certa azione di coaching o di formazione sia necessaria, e a cosa punta, probabilmente non l’abbiamo capita nemmeno noi.

Nei casi in cui mi preoccupano questioni di stile e di esposizione cerco di seguire una massima semplice: se non lo posso esporre con chiarezza non lo posso nemmeno comprendere io stesso.

John Searle

Anche nel contesto aziendale, lo scenario che viviamo ci spinge sempre più a volere i formatori attivi, praticanti di una didattica attiva – sempre meno come 

“docenti classici” e sempre più come “Change Agents” (agenti di cambiamento) – cui si chiede la capacità di “far crescere le persone” in maniera dinamica, mettendo in campo esercitazioni, un agire che vuole incidere davvero su atteggiamenti e comportamenti, e non solo trasferire contenuti verso un ricevente passivo. 

Questa necessità di cambiamento nella visione del ruolo è presente anche per l’“insegnante”, ma ancora maggiormente nei ruoli di formatore, nei ruoli di terapeuta, Coach, Counselor, trainer, allenatore sportivo, nel coaching manageriale, nello sviluppo personale, e nella direzione delle risorse umane.

Il processo formativo o di cambiamento si compone di diverse fasi, di cui il “training” rappresenta la parte centrale. Prima del “corso” o “intervento”, a monte e a valle, sono necessarie altre azioni, quali (1) la diagnosi degli obiettivi e fabbisogni formativi, (2) la progettazione formativa, ma ancora meglio una Regia Formativa, (3) l’acquisizione delle risorse e realizzazione, sino a (4) la valutazione dei risultati, sia tangibili che intangibili, di apprendimento ma anche di effetti sul modo di lavorare sino all’impatto sul cliente finale. 

La formazione richiede una professionalità specifica, che va oltre la competenza nella materia trattata e richiede conoscenza delle dinamiche di comunicazione e apprendimento attivo (coinvolgimento, partecipazione, active training).

In altre parole, essere dei Formatori con la F maiuscola, o dei Coach con la C maiuscola, significa avere a cuore il risultato e saper predisporre un impianto complesso di risorse – formatori – coach – sedi didattiche – fattori sia tangibili che intangibili, e competenze per raggiungere quel risultato.

Questo non è diverso da quanto faccia un regista con un film, con la differenza che spesso nella Formazione e Coaching, il Regista entra in campo in prima persona, o almeno deve avere avuto migliaia di ore di “field experience” e training specifici per poter anche solo pronunciare le parole Formazione Esperienziale e Coaching Esperienziale. 

“L’evoluzione è molto più importante che il vivere.”

ERNST JÙNGER

Le domande esposte sono solo un campione di moltissimi altri temi aperti, che troviamo in ogni progetto di cambiamento attuato tramite la formazione attiva, il coaching e il mentoring. La loro numerosità è spessore evidenzia come il cambiamento sia un processo realmente complesso. Numerose altre domande sono quindi utili e andrebbero aggiunte al modello, ma il compito di realizzarle è contestuale, dipende quindi dal singolo progetto, dal singolo caso, dalla singola situazione, che va trattata appunto in modo individuale e personalizzato.

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Accountability della comunicazione : misuriamo gli effetti reali della campagna

Gli effetti della comunicazione strategica sono misurabili.

Questa considerazione va in direzione contraria a quanti sostengono che la comunicazione sia per natura non misurabile nei risultati.

I risultati possono essere misurati a diversi livelli:

  • Livello psicologico: le scienze sociali hanno messo a disposizione una moltitudine di strumenti per misurare gli effetti della comunicazione a livello psicologico. Oggi siamo in grado di misurare con precisione l’immagine aziendale posseduta da un determinato pubblico, così come il ricordo generato da un messaggio, l’attivazione di un’intenzione comportamentale, la forza e direzione degli atteggiamenti, la variabilità delle opinioni di un determinato target, e una moltitudine di altri fattori.
  • Livello comportamentale: esistono numerose possibilità per misurare gli effetti comportamentali di una campagna. Se l’obiettivo di campagna è quello di aumentare l’affluenza destagionalizzata ai punti di vendita (non quindi visite solo il sabato pomeriggio, ma durante tutto l’arco della settimana), questo dato è ampiamente misurabile. Se una campagna sociale si prefigge di ridurre gli incidenti del sabato sera nei giovani dai 18 ai 25 anni, questo dato è ampiamente misurabile. Smettere di affidare tutto al caso e pensare a quale area della vita personale o aziendale, e persino di interi territori, può essere ricondotta ad una strategia seria, è un processo che richiede Rigore Mentale.
misurare

L’unica vera barriera che si frappone alla misurazione è la volontà di misurare, una barriera che trova rinforzo:

  1. nella mancanza di una cultura della misurazione
  2. nella volontà squallida e miserabile di rendere poco rendicontabile l’operato manageriale o consulenziale, per lasciare nell’ombra le lacune.

Superata questa barriera, non esiste goal comunicativo per il quale non si trovino adeguati indicatori e sistemi di raccolta dati affidabili.

Il tema fondamentale è la Accountability della comunicazione, rendere le persone e le organizzazioni responsabili dell’operato, senza pretendere miracoli, ma trasparenza.

In termini scientifici, esiste un concetto che esprime bene la fase di costruzione di indicatori: “operazionalizzare” una variabile. “Operazionalizzare significa dare della variabile una descrizione operativa, una definizione tale da renderla concreta, misurabile, tangibile. 

“Operazionalizzare” la variabile “successo nel direct marketing” significa esprimere quali sotto-variabili utilizzeremo, es: “numero di aziende contattate” “capacità di superamento dei filtri che si frappongono tra noi e i decisori”, “precisione della diagnosi aziendale espressa come numero di criteri di scelta considerati importanti dal cliente” “numero di contratti conclusi per singolo operatore nella settimana”, e altre variabili misurabili.

indicatori

Il processo di misurazione richiede:

  • Individuare indicatori misurabili. Esempio: numero di persone che entrano nel punto vendita durante la settimana; percezione d’immagine aziendale misurata tramite differenziale semantico (con descrizione delle scale utilizzate), deviazione standard sull’opinione dei clienti verso il servizio di assistenza post-vendita (per misurare il grado di variabilità sulla qualità del servizio).
  • la definizione di indici (index): gli indici sono variabili derivate, costruite sulla base di variabili primarie, come il rapporto tra messaggi inviati e messaggi letti. E ancora, il rapporto tra messaggi letti e attivazioni (es, acquisti, iscrizioni).
  • sistemi di raccolta dati validi ed affidabili, ma soprattutto non modificabili dai soggetti politicamente coinvolti. Se stiamo misurando la percezione di soddisfazione verso la qualificazione tecnica di un call-center in una compagnia telefonica, è del tutto errato affidarsi ai manager per un’autovalutazione, ma dovremmo ricorrere ad un’indagine presso i clienti che hanno usufruito del servizio.

Ogni indicatore dovrà essere pertanto “campaign-specific” :

  • specifico rispetto agli obiettivi di campagna, non generalista
  • pertinente o informativo rispetto ai bisogni persuasivi che vogliamo colmare.

Activation Research: misurare le attivazioni e i risultati della comunicazione

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Ogni azione o iniziativa può produrre risultati diversi, ed è bene guardare i fatti, avere molto chiaro quale iniziativa, quale canale, quale messaggio, ha prodotto le “attivazioni”, ovvero i risultati concreti riscontrabili.

Alcune definizioni:

Activation Research: Ricerca di marketing che permette di quantificare la quota di vendite di un prodotto realizzata in un dato periodo grazie ad una specifica azione pubblicitaria.[1]

Il concetto è ben più ampio e non si limita alle vendite ma include l’attivazione prodotta da ogni possibile comunicazione persuasiva.

Nel metodo delle campagne, il senso dell’Activation va oltre l’effetto di azioni puramente pubblicitarie e comprende ogni canale di comunicazione (visione olistica) e ogni tipologia di iniziativa che ha attivato azioni.

Se vogliamo far partire un corso e riusciamo nell’intento, possiamo capire quanti partecipanti sono stati “attivati” dal passaparola, quanti da un certo sito web, quanti da un certo banner pubblicitario, quanti da una campagna di telemarketing, quanti da una conoscenza personale dei formatori, quanti da eventi precedenti, e da qualsiasi iniziativa sia stata utilizzata.

Questi dati possono essere confrontati con quanto speso per ciascuno dei mezzi e canali usati, e arrivare così a capire quali canali e iniziative risultano più efficienti ed efficaci nell’”attivare” le persone.

Per poter misurare risultati è indispensabile aver chiarito bene gli obiettivi. 

Nella specifica area della comunicazione aziendale è determinante fare valutazione del risultato comunicazionale. Se pianificare è importante, ancora di più lo è poter misurare gli effetti reali di un piano di comunicazione o di una strategia comunicativa. Senza misurazione, non potremo ritararci e progredire.

effetto economico

La activation research, a livello economico, consente di discriminare le vendite conseguite in base al tipo di canale o pressione comunicazionale esercitata, per:

  • valutare l’efficienza dei canali promozionali;
  • valutare l’efficacia della comunicazione aziendale in rapporto ai costi;
  • determinare le strategie comunicazionali che sviluppano il maggiore risultato.

In quanto analisi di costi e benefici, la activation research consente la  valutazione di convenienza di un investimento comunicativo.   

Ogni azienda deve scegliere fra opzioni diverse quella che assicuri l’allocazione delle risorse più efficiente, ovvero quella forma di comunicazione che comporti il maggior aumento delle vendite con il minor costo possibile. 

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online