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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

Se pensi di conoscerti davvero bene, sappi che di fronte a sfide nuove potranno emergere lati di te che non conoscevi. E che in ogni caso, per osservarsi o vedersi, serve una grande quantità di strumenti e tecniche.

Come faresti a conoscere il colore dei tuoi occhi se non esistesse in tutta la terra uno specchio per poterti osservare? Questo specchio sono esperienze speciali, sono i professionisti che ti aiutano a percepire te stesso in questi momenti di picco, sono momenti di analisi guidata, di confronto, di introspezione. Per compiere un’esplorazione guidata occorre “lasciarsi aiutare” in questo processo di autoconoscenza.

La crescita personale è il primo vero passo della leadership e dello stare in un gruppo che vuole crescere e gioire. Crescita personale significa anche sfidare il destino, decidere su che cosa lavorare di sé stessi anziché pensare di essere solo e unicamente frutto di decisioni ed eventi esterni.

Farsi aiutare in un percorso di esplorazione e autodeterminazione è un atto intelligente. Farsi aiutare non significa diventare quello che “altri” vogliono, ma anzi, essere i protagonisti e registi dei propri cambiamenti desiderati. Se sali su un treno e ti fidi del macchinista, ricorda sempre che la destinazione l’hai scelta tu, il macchinista e il treno ti servono come strumenti per arrivare prima dove tu vuoi. Lo stesso vale per una guida alpina o un GPS nell’esplorazione di zone sconosciute.

Chi mi porge una lampada per osservare la strada al buio non mi sta dicendo dove andare. Mi sta solo dando uno strumento perché io possa decidere se andare a destra o a sinistra anziché nel burrone.

Come per il colore degli occhi, non lo conoscerai mai fino a che non avrai strumenti esterni per osservarlo. E anche quando tu avrai preso coscienza del fatto che sono verdi, marroni o azzurri, non cambierai mai il colore dei tuoi occhi con la tua volontà. Ma potrai cambiare la potenza e massa dei tuoi muscoli allenandoli bene, potrai cambiare la flessibilità delle tue articolazioni, la tua resistenza aerobica, la tua massa grassa e magra, la resistenza dei tuoi tendini, perché queste caratteristiche sono soggette alle tue azioni quotidiane, alle abitudini, al fatto di “allenarle”, e non solo frutto del destino. E le tue abitudini sono qualche cosa su cui si può assolutamente lavorare.

Vi sono alcuni tratti del carattere che difficilmente potrai cambiare, ma tanti altri che invece sono lavorabili, “costruibili”, soggetti a essere costruiti e potenziati, e la leadership, o una buona capacità comunicativa quando la vuoi avere e nelle occasioni in cui ti serve, sono assolutamente tratti allenabili e potenziabili.

Principio 3 – Il Locus-of-Control

La crescita personale è il primo vero passo della leadership e dello stare in un gruppo che vuole crescere e gioire. Crescita personale significa anche sfidare il destino, decidere su che cosa lavorare di sé stessi (Locus-of-Control interno) anziché pensare di essere solo e unicamente frutto di decisioni esterne ed eventi esterni (Locus-of-Control esterno).

Chi crede e ha visto in azione i cambiamenti che le persone fanno grazie a processi formativi e di coaching ben fatti, non può che credere nel potenziale umano. Questo vale sia per atti a prevalenza fisica, come lo sport, che in attività soprattutto manageriali, mentali e culturali.

Nello sport, chi ha visto i cambiamenti positivi di atleti in seguito a programmi allenanti ben fatti non può che rimanere sbalordito. Chi ha visto gli effetti di un allenamento combinato fisico e mentale sarà ancora più sbalordito.

Nelle professioni manageriali, chi ha trovato su di sé o in altri il miglioramento nelle capacità di public speaking in seguito a training dedicati non può che credere nella grande “plasticità” del potenziale umano, nella sua immensa potenzialità, nel fatto che si possa passare dal­l’essere introversi o “orsi”, oppure vedersi dotati di bassa autoefficacia, a diventare grandi comunicatori, purché si abbia voglia di lavorarci, e ci si dedichi tempo pensando che sia il momento speso meglio della vita e non tempo residuale o un lusso per pochi.

Formarsi è un investimento sacro. Se dovesse servirti un’ora, o un mese, o un anno, per migliorare la tua capacità di sostenere un esame o un test, quanti esami ne trarrebbero beneficio, in tutta la tua vita? E parlo di esami non solo formali, ma anche di colloqui nei quali in ogni caso il tuo “essere” viene fuori, che tu voglia o meno, viene osservato e percepito e di fatto produce la percezione che gli altri hanno di te.

S’impara sia facendo sia ripassando mentalmente l’azione. Un buon coaching sa quando avviare un tipo di apprendimento o l’altro.

Ci sono cose che si imparano meglio nella calma, altre nella tempesta.

Willa Cather

Investire su di sé significa lavorare sulle proprie capacità mentali, prima ancora che sulle conoscenze. Puoi avere studiato psicologia per decenni ma ancora non capire te stesso e le persone. Puoi avere letto migliaia di libri ma non saperne raccontare la sintesi.

Quante ore di studio possono mai compensare un’esposizione scarsa? Quando hai mai creduto a un dietologo che vedi coi tuoi occhi avere un corpo disfatto e sovrappeso?

Quante “spalline” finte servono per compensare una scarsa attenzione al corpo, quante panciere potrai mai indossare per far finta di ridurre il giro vita anziché lavorare sul tuo corpo ogni singolo giorno? Quante frasi e da quanti libri potrai rubare se non hai niente di tuo da dire di vero? Quante bugie potranno esserci nei proclami di un’azienda se poi nei fatti e nei prodotti che usi vedi che non corrispondono al vero?

Come ha detto il grande Bob Marley “You can fool some people sometimes, but you can’t fool all the people all the times” (in una traduzione non letterale, “puoi fregare qualcuno qualche volta, ma non potrai fregare tutti e sempre”).

Chi lavora su di sé ha sempre meno bisogno di fingere. Questa è la verità della Scuola del potenziale umano. Una scuola di Verità, di Ricerca, di Conoscenza.

Ci sono molti modi per conoscersi. In molti casi serve un lavoro di gruppo e un feedback onesto, in altri casi è nella solitudine che si forgia il guerriero, è nella durezza della realtà che si costruisce la leadership. Questo vale anche per i leader veri che non possono delegare ad altri il lavoro che devono fare su di sé.

Il più grande samurai della storia, Miyamoto Musashi (1584-1645), fu certamente un leader e ancora oggi è culturalmente un leader dopo secoli. Arrivò ad avere più di tremila studenti che studiavano sotto di lui, oppure sotto la guida di suoi allievi diretti; e oggi in Giappone ci sono molte scuole che derivano dalla sua. Ma vediamo come vi è arrivato.

Si ritirò in meditazione e insegnamento a cinquant’anni, vagò nelle foreste più impervie dai 13 ai 29 anni, sopravvivendo e sfidando con un bastone di legno altri samurai dotati invece di katana d’acciaio. Se fosse stato “nominato” samurai o avesse ereditato il titolo, non avrebbe vinto nemmeno contro una mosca morta. Quanti leader di oggi si sono veramente “fatti le ossa” combattendo sul campo, lottando per una causa, spesso senza aiuti, senza raccomandazioni, senza rinunciare ai propri valori?

Musashi, cresciuto maneggiando un bastone, aveva certamente un vantaggio su chi si era formato con ben più di risorse di lui. Al­l’epoca dei samurai un guerriero (bushi) aveva due spade alla cintura: la katana (spada lunga) e la wakizashi (spada corta). Musashi insegnava ai suoi allievi che morire con una di queste armi ancora nel fodero significava non aver fatto tutto il possibile per vincere.

Musashi si forgiò e si formò combattendo, visse diversi anni in totale eremitaggio nelle foreste più impervie, dedicandosi esclusivamente al­l’affinamento delle tecniche marziali dai 13 anni (età del suo primo combattimento mortale).

Togli a un leader i servi, gli yes-man, i soldi, le persone e le risorse ipocritamente ubbidienti, gli agi, mettilo da solo e senza risorse, e vedremo di che pasta è fatto davvero.

Chi è leader e coordina team ad alte prestazioni lavora su di sé sempre, e deve farlo per possedere doti di leadership oltre la media, perché le sfide che compaiono sono speciali.

Due esercizi pratici:

•     esaminiamo quanti messaggi servono in un solo giorno, per tenere coordinata un’azienda, comandare una nave, coordinare un’operazione di polizia, essere il coach di un team agonistico, di una squadra di calcio o di volley, di tennis o sport di combattimento, dirigere un gruppo di vendita o un team di miglioramento della qualità. O anche solo per servire bene a un tavolo di ristorante;

•     osserviamo questi messaggi: come sono costruiti, se fanno bene al raggiungimento degli obiettivi, quali motivano e quanti invece demotivano o distruggono il gruppo, il clima e la “missione”. Avremo subito un indicatore della Qualità della comunicazione operativa.

Per fare vera comunicazione operativa occorre volere comunicare bene ma anche ripulirsi dal timore di sbagliare o decidere male perché non abbiamo tutta la vita a disposizione per decidere. La vera paura deve essere non decidere. Si tratta di entrare a far parte di un’élite, sia per lo spessore delle persone che si comandano che per la volontà di saper tirare fuori il meglio di sé e degli altri.

Occorre comprendere che in realtà ciò che rende “speciale” un team, ancora prima che le azioni compiute, sono i tipi di atteggiamenti mentali. Il grado di concentrazione e di qualità del pensiero che precede l’azione, la capacità di vedere se stessi e saper diventare “archetipi” di un modo di essere, persone speciali, membri di un team, dedicati a una causa nobile.

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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

Chi aspira a sviluppare una professione con onore, come dirigere con vera leadership, o occuparsi di questioni importanti come la ricerca, le aziende, la medicina, la sicurezza, la scienza, le organizzazioni, le scuole, ovunque, prima deve fare i conti con la propria crescita personale, le proprie capacità e valori.

Bisogna prendere atto del fatto che il nostro carattere determina larga parte della nostra modalità comunicativa, lo stile di leadership, le decisioni.

Bisogna essere abbastanza umili per capire che il nostro carattere non è qualche cosa di inviolabile ma anzi lavorarvi è un atto sacro. È utile cercare di capire su quali tratti possiamo lavorare. È un atto sacro anche l’azione e il tentativo che mettiamo in atto per migliorarci, al di là che ci riusciamo o meno, o che ci riusciamo subito o dopo un periodo di tempo. Spesso il miglioramento richiede un percorso, e non un singolo atto.

Spesso il miglioramento richiede un percorso, e non un singolo atto. Chi affronta un percorso di miglioramento personale è sempre una persona coraggiosa. Ha il coraggio delle emozioni, ha deciso di guardarsi dentro, scoprire le alchimie della formula arcana in cui è inserito, capire come funziona il proprio ingranaggio interiore, e cambiarsi in meglio (Trevisani 2015).

Vogliamo migliorarci per essere sempre di più noi stessi nel nostro pieno potenziale e non persone che si nascondono dietro a scuse come “sono fatto così, che cosa vuoi farci?”.

Lavorare sul proprio carattere per migliorarsi significa ascoltare i propri valori senza rifiutarli, ma anche avere l’umiltà di pensare “posso sempre fare passi in avanti nel mio processo di miglioramento personale”. Chi non accetta questa visione potrebbe pensare di sé “sono il migliore, perché lo dico io”. Questa è sostanzialmente una forma di nevrosi.

Alexander Lowen (1982) ci mette in guardia chiaramente sui rischi che le nevrosi generano nelle persone. Prima di tutto, non saper imparare dal­l’esperienza.

Si dice che le persone imparino dal­l’esperienza, e in generale questo è vero: l’esperienza è il migliore e, forse, l’unico vero maestro.

Ma questa regola non sembra potersi applicare al campo della nevrosi. La persona non impara dall’esperienza ma ripete continuamente lo stesso comportamento distruttivo.

Aprirsi a capire prima di tutto “che cosa vorrei migliorare di me” è un grande processo di focusing[1], una focalizzazione consacrata, importante.

Fare focusing significa andare alla ricerca di chi siamo e come comunichiamo, che cosa sentiamo dentro di noi, e come questo si trasferisce all’esterno di noi.

Significa quindi andare alla ricerca di un manoscritto unico, un testo nascosto, che non è di facile accesso e si trova solo nel­l’esplorazione attenta e profonda. Questa esplorazione può essere appresa in appositi corsi, può essere potenziata quando guidata da professionisti esterni, ma al di là della tecnica richiede sempre e comunque una grande voglia di scoprire il massimo del proprio potenziale umano possibile.

Per lavorare sul carattere occorre un contributo esterno, che sia coaching, counseling o formazione esperienziale, pratica, confronto, feedback, motivazione alla voglia di migliorarsi.

Alexander Lowen (1982), sviluppatore della Bioenergetica, ci ricorda un fatto importante:

Il carattere determina il fato.

Per carattere si intende il modo di essere o di comportarsi tipico, abituale o “caratteristico” di una persona.

Definisce un insieme di risposte fisse, buone o cattive, indipendenti dai processi mentali coscienti.

Non possiamo cambiare il nostro carattere con un’azione cosciente, perché non è soggetto alla nostra volontà.

Di solito non siamo neppure coscienti del nostro carattere, perché diventa per noi come una “seconda natura”.

Avere voglia di capire i nostri limiti e opportunità, forze e debolezze, non ha niente a che fare con la ricerca di qualche forma di “patologia” mentale, non è un atto medico, conoscersi a fondo non è un percorso clinico ma anzi, diventerà operazione di scoperta quotidiana, operazione che ci porta alla scoperta della “cultura” che ci circola dentro, l’insieme di regole che usiamo inconsciamente nel nostro comportamento quotidiano.

Questo permette di tenere alla larga gli stati mentali negativi che rischiano di farci ammalare o di farci agire in modo automatico e senza il nostro consenso.


[1] Per la metodologia del focusing, vedi i testi di Gendlin (in particolare 2002); inoltre: Campbell e McMahon (2001); Elliot, Watson, Goldman e Greenberg (2007); Weiser Cornell (2007); Welwood (1994).

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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

team leadership

Esistono molte forme di leadership. Questo lavoro di ricerca vuole esaminare anche i gruppi come “sistemi di energie”.

Le energie nutrono e gli esseri umani hanno bisogno di comunicare tanto quanto hanno bisogno di aria, di proteine, di carboidrati, grassi e vitamine. Un buon leader è quindi anche un grande motore di energie. Usa la comunicazione consapevole del fatto che essa può essere nutrimento o invece tossina. Un buon leader ama il suo team e vuole il suo bene; in caso contrario, si tratta solo di un manovratore e di un burattinaio.

Vi sono metodi diversi per classificare i tipi di leader. Alcuni vedono il leader come un condottiero operativo immischiato nella battaglia e sporco di fango tanto quanto i suoi compagni di battaglie, altri come un visionario mistico, distaccato, etereo, superiore alle banalità quotidiane.

Un’alternativa è osservare un leader come generatore di energie, un direttore d’orchestra che sa canalizzare le energie e competenze di ogni musicista entro un brano in cui possono entrare decine o centinaia di strumenti per comporre qualche cosa di meraviglioso.

Ogni volta che due o più persone si uniscono per fare qualche cosa di speciale, nasce una nuova forma di energia. Le energie di più persone che credono in qualcosa non solo si sommano ma si moltiplicano. Le intelligenze altrui diventano le nostre risorse. Le energie degli altri sono lo stimolo che ci permette di superare i nostri limiti.

In un’esplosione di forze, prende vita un’entità, da una diade sino a un firmamento di persone che si influenzano a vicenda, producendo quello che in una letteratura esoterica viene chiamata un’“egregora” positiva, un’entità mentale generata dal pensiero e dallo stato mentale del gruppo, che opera quasi a sé stante, dona energia a ogni partecipante ed è in grado di influenzare lo stato di ogni singolo appartenente al gruppo stesso.

Quando entriamo in un insieme, in un ambiente, in una riunione, in un’azienda, possiamo quasi percepire il “clima” che si respira, o come in alcune canzoni viene descritta, la “vibrazione”, vibrazioni positive o vibrazioni negative. Sentiamo letteralmente la presenza di energie o l’as­senza di energie, in modo così forte e tangibile che la scienza deve ancora capire di che cosa si tratti veramente.

In altri insiemi notiamo la dominanza di “egregore” negative, stati mentali e comunicativi che drenano energie, leader tossici, e persone che inquinano il gruppo.

La leadership e la formazione, in senso forte, hanno a che fare con la creazione di gruppi in cui le persone hanno voglia di riversare le loro migliori energie venendone a loro volta ricaricate. Chi ne fa parte sente di essere entro qualche cosa di speciale, sente il proprio contributo, come il dipingere anche solo un tratto di un nuovo, fantastico, quadro a più mani.

Per farlo, occorre saper portare le persone a nuovi livelli di coscienza, e anche i leader devono saper fare di se stessi un grande laboratorio di crescita personale, per poter ispirare le coscienze e invitarle a elevarsi.

La qualità della comunicazione, intesa proprio come “tipo” di comunicazione che circola in gruppo, determina l’egregora dominante.

Quando in un gruppo predominano comunicazioni apatiche, negative, distruttive, e “leader tossici”, questo gruppo sarà presto appestato da energie emotive negative. Dove circolano messaggi chiari, circola rispetto, i messaggi sono portatori di valori, le persone si sanno ascoltare e valorizzare, allora questo gruppo viene permeato da energie emotive positive e ricarica ogni membro che vi appartiene.

La comunicazione operativa vuole fare risplendere questo firmamento nel suo pieno potenziale, alimentarlo di energie, proiettare nella sua danza, e non permettere che, come accade a tante stelle, imploda, si spenga, o si inquini. È questione di credere o meno nel potenziale umano e nel fatto di volere a tutti i costi vederlo innalzarsi nel suo splendore possibile (Trevisani 2008).

Che si tratti di gruppi di manager, di atleti, di vigili del fuoco e soccorritori, di una squadra di calcio o di pallavolo, di un’équipe marziale, di un gruppo di artisti, poco importa. Ciò che rende speciale un gruppo sono i valori che esso persegue. E come questi si trasformano in atti comunicativi di qualità.

Tali valori devono guidare i gruppi a fare cose che altri non possono nemmeno pensare o ad agire con spirito e passione.

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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

La capacità comunicativa e l’attività della negoziazione

Comunicazione e negoziazione sono un territorio delicatissimo dell’esistenza umana.

Dalle abilità comunicative dipendono successi e fallimenti, vittorie e cadute, e la possibilità di concretizzare sogni e ideali.

comunication

I desideri, le nostre aspirazioni umane e professionali – le idee che vorremmo concretizzare – i nostri stessi progetti di vita, sono collegati a questa capacità di comunicazione, spesso inespressa, una capacità latente, un fiore da far sbocciare. Una capacità che raramente coltiviamo e studiamo.

Essa rappresenta una delle facoltà più preziose della natura umana: poter esprimere e condividere sentimenti, idee, pensieri, visioni, sogni, progetti. 

L’importanza delle capacità di comunicazione può alterare (in meglio o in peggio) anche le traiettorie della propria vita sentimentale; può farci avvicinare alle persone che amiamo, o allontanarci, può generare comprensione o incomprensione, passione o tristezza, gioia o dolore. 

Una buona comunicazione può dare vita ad amicizie e rapporti che durano una vita, una cattiva comunicazione determina invece il malfunzionamento o la rottura irreparabile di relazioni umane e professionali.

Per ogni essere umano, la capacità di comunicare le proprie emozioni ad altri, aprirsi, non lasciare che esse rimangano soffocate in una ruminazione mentale solo interna, è un fattore primario di salute fisica e mentale.

Le capacità comunicative arrivano persino a determinare la vita e morte di persone, come nelle negoziazioni militari o per la liberazione di ostaggi.

In questo ambito, anche i dettagli contano, ad esempio:

  • capire chi sono i decisori veri con cui trattare può cambiare la vita di un’azienda; può farle vincere o meno una gara, un appalto, o conquistare un cliente determinante per molti anni a venire; 
  • un errore di battitura in un punto cruciale dell’offerta può generare senso di pressapochismo e far alzare le barriere valutative, rendendo la vendita più “in salita”; ma ancora…
  • una distrazione in fase di ascolto che ci faccia perdere un “segnale” importante lanciato dall’interlocutore;
  • cogliere o non cogliere un’occhiata o una smorfia di approvazione o disapprovazione che si lanciano due persone nel team con cui trattiamo.
comunicazione
inazione

È un risultato eccezionale, dal punto di vista della negoziazione e della relazione umana, capirsi tra le parti, rompere le barriere di incomunicabilità, trovare modi per avere successo cooperativo, e crescere assieme. 

Di fatto, comunicatori, negoziatori professionisti, venditori, rappresentano una parte attiva della società e “muovono le cose”. Senza di loro, le aziende non potrebbero vivere. 

Un’azienda senza persone in grado di vendere è un’azienda sull’orlo del baratro. Tutti gli stipendi vengono da un’unica fonte: le vendite.

Dobbiamo quindi prepararci, così come un soldato si prepara per una battaglia, un atleta per una gara, un attore per la scena.

La chiave è far crescere le nostre competenze comunicative, supportare la crescita degli altri

Le capacità comunicative devono diventare sempre più un vero e proprio asset (risorsa strategica) e non (quando mancano) un punto di debolezza da coprire a suon di sconti, ribassi, umiliazioni, concessioni e perdite.

Per questo bisogna agire con spirito guerriero e strategico, con una mente pronta e risoluta – una mente da analista – e “gambe” pronte ad incontrare persone in ogni luogo. 

Una frase antica, espressa da un Samurai giapponese, ci offre una bella rappresentazione, che spiega con poche parole questo atteggiamento:

Kenshin disse:  «Il fato è in paradiso, l’armatura è sul torace, il risultato è nei piedi »

Adachi Masahiro, Samurai (scritto risalente al periodo 1780-1800)

In: Cleary, Thomas. La Mente del Samurai[1]

La suggestione del Samurai Masahiro ci aiuta a capire che esistono molte aree della vita che non possiamo dominare, e altre per le quali dobbiamo e possiamo agire, sia in prima persona che in squadra.

Il “paradiso” di Kenshin sono gli scenari globali, le scelte dei competitors, la nostra armatura è la nostra preparazione, i nostri piedi sono le azioni che adottiamo.

Dobbiamo quindi distinguere le aree per le quali non vale nemmeno la pena preoccuparsi troppo, da quelle per le quali possiamo “prepararci” e fare strategia, sia che si tratti di proteggere i nostri interessi vitali (armatura) che di muoversi con scientificità tattica (i “piedi” dello Strategic Selling). 

Nessun altro può farlo per noi. 

Ma, per concretizzare, dobbiamo assimilare lo spirito guerriero proposto da Masahiro e adattarlo ai nostri scopi e alla nostra professione.

È indubbio che operare nella vendita oggi significhi avere coraggio. 

Il coraggio di chi esce con una valigia e va a conquistare un cliente. 

coraggio
coraggio

Il coraggio di chi affronta il mondo, di chi entra in culture diverse, in aziende nuove e sconosciute, di chi lotta contro competitors più forti, più finanziati o potenti, il coraggio di chi si muove in prima linea. 

Ed ancora maggiore coraggio serve per dirigere le persone, stare a fianco degli uomini e delle donne che si muovono in prima linea, stargli vicino anche sul campo, nei momenti di difficoltà e di maggiore bisogno.

Questa è leadership. Questa è una modalità di vita.

È la scelta di chi stabilisce di non stare nelle retrovie ma di stare sul fronte, immergersi nelle tante battaglie umane e sacrifici che la vendita strategica impone a chi decide di giocare questo gioco. E di gioire per i successi.

La negoziazione è certamente un gioco difficile, ma non un gioco d’azzardo. La negoziazione seria non si prefigge mai di produrre danni gratuiti alla controparte, ma – ovunque possibile – porta avanti il principio delle “relazioni d’aiuto” (essere di aiuto agli altri) e costruire relazioni che creano valore per tutti.

Relazioni vincenti che creano benefici ad entrambe le parti.

matrimonio

Questo vale anche in un matrimonio, quando due persone riescono a fissare i propri spazi di libertà per i propri interessi personali (sport, cultura, giardinaggio, viaggi, etc.) senza che il matrimonio stesso divenga una gabbia, ma piuttosto una piattaforma che dia forza ad entrambi.

Vale anche tra due aziende, quando da una buona negoziazione emerge un progetto che nessuna, da sola, sarebbe riuscita a fare.Nessun risultato, tuttavia, avviene per magia. Negoziamo da quando siamo nati, e lo faremo per tutta la vita.

Serve un’attività di negoziazione e lavoro certosino sulla chiarezza dei ruoli, e dei confini dei ruoli.

Le relazioni vanno coltivate, se vogliamo vederne i frutti.

curare

La comunicazione parte da un bisogno primario, il bisogno di entrare in relazione, in contatto con qualcuno o con qualcosa e per coloro che operano professionalmente con la negoziazione, prepararsi da professionisti è il minimo che si possa fare. 

Questi bisogni richiedono un lavoro di formazione adeguato.

Prepararsi da professionisti

Esiste una grande confusione in campo aziendale su cosa sia la formazione. Alcuni pretendono di preparare negoziatori e venditori tramite un paio di ore di lezioni teoriche in cui vengono propinate teorie e concetti astratti, affidandosi a professori universitari che non hanno mai venduto niente in vita loro.

Più che una formazione classica, serve una forte “sensibilizzazione”, qualcosa che vada oltre le regole stereotipate. Ad esempio, imparare a vedere come noi reagiamo alle comunicazioni altrui, come funziona il nostro dialogo interno[2]capire come esaminare una conversazione e cogliere le sue mosse strategiche, preparasi ad essere analisti.

training

La formazione seria è una forma di apprendimento molto forte, parte da un’autoanalisi che nessun PowerPoint può sostituire, e ci chiede di fare i conti con chi siamo veramente. 

Al contrario dei seminari tenuti dai “corsifici”, un buon coaching in profondità (coaching personale o team coaching) può aiutare la persona e il team a prestare attenzione a ciò che prima gli sfuggiva, e questo non ha niente a che fare con la formazione classica.

Bisogna aiutare le persone a muoversi da professionisti, a “pensare” come professionisti. La ricerca del Potenziale Umano che si nasconde in ogni persona non è né facile né immediata, lo sappiamo tutti benissimo. Ma, a volte, cerchiamo scorciatoie che non esistono. 

Le situazioni in cui la comunicazione cambia le cose sono tante. 

Possiamo avere un colloquio di lavoro nel quale si decide una svolta nella vita, nel quale far emergere chi siamo e cosa valiamo.

Gli effetti di ogni parola e di ogni gesto saranno sommatori e decisivi.

Lo stesso bisogno di essere comunicatori efficaci tocca il problema di trovare un finanziatore per progetto, o un sogno da concretizzare.

Tante situazioni, un denominatore comune: il risultato delle attività di comunicazione e negoziazione cambia la vita. Affrontare questo mondo intrigante richiede l’esame di molte variabili.

Una prima consapevolezza di fondo è il bisogno di una grande serietà in chi opera nel mondo della comunicazione e della negoziazione complessa: essere coscienti del fatto che dagli esiti di una trattativa strategica dipendono svolte di tipo professionale, effetti che cambiano la vita, propria o altrui. 

Se condotte bene, gettano le basi per un futuro migliore. Se condotte male, producono danni enormi.

Una seconda certezza: per comunicare bene serve formazione specifica, l’abito mentale di chi si prepara alla negoziazione, dedica ad essa risorse mentali, la gestisce come un’attività professionale e strategica (approccio mentale del Get-Ready Mind Set), e non trascura i dettagli[3].

energie

Una terza certezza è il bisogno di curare la “macchina” del venditore, negoziatore o comunicatore, ancora prima di preoccuparci delle sue prestazioni esterne. Una persona che sta bene, piena di energie fisiche e mentali, avrà ottime chance di esprimere anche il suo potenziale comunicativo. Al contrario, una persona fisicamente debilitata o esaurita, e psicologicamente stanca o che si sente fuori ruolo, non farà altro che errori continui.

Come sottolinea un collega e amico, importante psicologo e counselor italiano, allenatore della nazionale italiana di Apnea e di campioni del mondo di apnea, quando ci si “immerge” nelle relazioni e nelle negoziazioni si va incontro, come fa un apneista, anche a se stessi e al proprio inconscio

Possono emergere paure o incongruenze, ansie e timori ragionevoli o irragionevoli, coscienti o subcoscienti. 

Se questi ci bloccano, ci rallentano, ne subiremo gli effetti negativi.

Al contrario una persona che abbia fatto un lavoro profondo su di sé può “immergersi” tranquillamente sia in acqua che nella più difficile trattativa, senza perdere in consapevolezza emotiva e rimanendo sostanzialmente sereno nonostante l’ambiente difficile che lo circonda[4].


[1]

Cleary, Thomas (2008) (a cura di), La Mente del Samurai: Il Codice del Bushido, Mondadori. Scritto di Adachi Masahiro, Samurai (scritto risalente al periodo 1780-1800).

[2] Per il dialogo interiore nelle situazioni di consumo e scelta di acquisto, vedi Bahl, S. e Milne G. R. (2010), Talking to Ourselves: A Dialogical Exploration of Consumption Experiences, in Journal of Consumer Research, Vol. 37, June 2010.

[3] La preparazione mentale a compiti successivi, e l’utilizzo delle risorse mentali, nella Consumer Research, è stata affrontata in un articolo specifico. Vedi Bosmans Anick, Pieters Rik e Baumgartner Hans (2010), The Get Ready Mind-Set: How Gearing Up for Later Impacts Effort Allocation Now, in Journal of Consumer Research, Vol. 37, June 2010.

[4] Manfredini, Lorenzo (2010), Appunti di counseling, materiale didattico riservato, Associazione Olos e Istituto di Dinamica Mentale, Ferrara.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Formare il team alle metodologie del Solution Selling e del Coaching

Combinare coaching e vendita di soluzioni (Solution Selling)

Se il Solutions Selling riguarda il “come” vendere, rimane un grande interrogativo, il “come” esercitare la leadership. La risposta si trova in un metodo molto importante, il “Leading by Coaching”, che significa guidare la squadra essendone il coach, né più né meno come un Coach sportivo guiderebbe le proprie persone, allenandole, aiutandole a scendere in campo preparate, motivate e con gli strumenti giusti per vincere.Si tratta, in altre parole, di applicare la leadership attraverso la gestione delle persone (People Management), sia come team, che con interventi uno-ad-uno.

Per quanto riguarda la componente primaria del People Management (la gestione delle persone), la Leadership di Vendita si basa prevalentemente:

  • sulle tecniche di coaching umanistico (crescita personale e professionale del venditore, formazione dei venditori);
  • sull’Analisi della Conversazione come strumento per guidare il dialogo e creare attivamente un clima di comunicazione di qualità, interno al gruppo, e tra venditori e clienti;
  • sulle dinamiche di Leadership Emozionale, per intervenire con successo sulle situazioni sia positive che negative, insite nella leadership stessa e nei suoi momenti di vita professionale, gestire le gratificazioni, dare voce ai successi, ma anche intervenire nei momenti difficili che la vita professionale di direzione vendite comporta.

I valori e le competenze da instillare tramite il coaching alla propria squadra sono proprio quelli del Solutions Selling.Il cliente moderno è più esperto e competente che mai. Adottando un approccio collaborativo con l’acquirente e sviluppando soluzioni, anziché fare affidamento su tattiche di vendita manipolatorie, i venditori professionisti possono creare valore reale per i clienti e successivamente concludere più affari. Il metodo di “vendita della soluzione” (Solution Selling) sposta l’enfasi dalle caratteristiche del prodotto al valore che riusciamo a creare per il cliente. Questo significa aiutare il cliente a raggiungere i suoi obiettivi, non i nostri, e risolvere i suoi problemi, non i nostri. 

Ecco alcuni elementi fondamentali che un buon coaching deve trasferire.

Capire gli obiettivi del cliente

Riconoscere il fatto di essere portatori di valore

Portare la relazione su un livello di parità

Trasformare le conversazioni in ascolto attivo del cliente

Scalare le gerarchie aziendali e arrivare a parlare con chi decide veramente

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

 

Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Solution Selling. Un modo di vendere

Se il Solutions Selling riguarda il “come” vendere, rimane un grande interrogativo, il “come” esercitare la leadership. La risposta si trova in un metodo molto importante, il “Leading by Coaching”, che significa guidare la squadra essendone il coach, né più né meno come un Coach sportivo guiderebbe le proprie persone, allenandole, aiutandole a scendere in campo preparate, motivate e con gli strumenti giusti per vincere.Si tratta, in altre parole, di applicare la leadership attraverso la gestione delle persone (People Management), sia come team, che con interventi uno-ad-uno.

Per quanto riguarda la componente primaria del People Management (la gestione delle persone), la Leadership di Vendita si basa prevalentemente:

  • sulle tecniche di coaching umanistico (crescita personale e professionale del venditore, formazione dei venditori);
  • sull’Analisi della Conversazione come strumento per guidare il dialogo e creare attivamente un clima di comunicazione di qualità, interno al gruppo, e tra venditori e clienti;
  • sulle dinamiche di Leadership Emozionale, per intervenire con successo sulle situazioni sia positive che negative, insite nella leadership stessa e nei suoi momenti di vita professionale, gestire le gratificazioni, dare voce ai successi, ma anche intervenire nei momenti difficili che la vita professionale di direzione vendite comporta.

I valori e le competenze da instillare tramite il coaching alla propria squadra sono proprio quelli del Solutions Selling.Il cliente moderno è più esperto e competente che mai. Adottando un approccio collaborativo con l’acquirente e sviluppando soluzioni, anziché fare affidamento su tattiche di vendita manipolatorie, i venditori professionisti possono creare valore reale per i clienti e successivamente concludere più affari. Il metodo di “vendita della soluzione” (Solution Selling) sposta l’enfasi dalle caratteristiche del prodotto al valore che riusciamo a creare per il cliente. Questo significa aiutare il cliente a raggiungere i suoi obiettivi, non i nostri, e risolvere i suoi problemi, non i nostri. 

Ecco alcuni elementi fondamentali che un buon coaching deve trasferire.

Capire gli obiettivi del cliente

Riconoscere il fatto di essere portatori di valore

Portare la relazione su un livello di parità

Trasformare le conversazioni in ascolto attivo del cliente

Scalare le gerarchie aziendali e arrivare a parlare con chi decide veramente

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Questo articolo parla dell’importanza del poter vivere con pienezza il nostro viaggio della vita restituendo un significato più profondo al nostro agire quotidiano.

Perché facciamo le cose?

Un gruppo di ricercatori che operano nella sfera della Psicologia Umanistica ha condotto uno studio per confrontare i diversi punti di vista sul senso della vita, analizzando sia persone comuni che personaggi eminenti (cultura, scienza, politica)[1a].Il senso fondamentale che emerge da questa ricerca è che l’essere umano ha bisogno di significati. Ha bisogno di ancorare la propria esistenza a qualcosa, ha la necessità di trovare una spiegazione. Il contrario è una “crisi di senso”: non sapere più cosa facciamo, non credere più a niente.

La spiegazione per il nostro agire può essere assurda, logica, razionale, mistica, scientifica, morale. La mancanza di una motivazione del fare, dell’essere, e dell’esistere, porta ad un profondo disagio esistenziale. Come evidenziano gli stessi autori:

Albert Camus (1955),Viktor Frankl (1992), e Lev Tolstoj (1980),  tutti credevano che, se la vita avesse o meno un significato in sè, fosse la domanda più importante della vita stessa. Per loro, tutti gli sforzi e imprese umane si confrontano con la questione del significato – senza significati, niente ha più importanza. Frankl (1978) vedeva la  mancanza di senso (meaninglessness) come la neurosi primaria dei nostri tempi (p. 2), e Carl Jung (1933) sosteneva che tutti i suoi clienti, visti in oltre 35 anni di terapia, avevano problemi che si collegavano alla questione dei significati (meaning). Negli studi empirici, l’esperienza soggettiva della meaninglessness (mancanza di senso) è stata collegata alla depressione (Beck, 1967; Seligman, 1990) all’abuso di sostanze e al suicidio (Harlow, Newcomb, & Bentler, 1986), così come ad altre psicopatologie (Yalom, 1980)[1b].

In sintesi, se non percepiamo un significato nelle cose, andiamo in crisi. 


La mancanza di significato porta a disturbi, o neurosi, e disagio esistenziale. Ogni azione connessa al potenziale umano deve quindi andare alla ricerca di significati profondi cui ancorarsi, siano essi in azienda, nello sport, nella vita, o in campo sociale e personale.

La psicoenergetica, nel metodo HPM, è una disciplina che deve analizzare, attaccare e aggredire la meaninglessness (mancanza di senso o caduta di significati del­la vita), e affrontare il senso di una prospettiva umana. I fronti per cui applicarsi e le cause per cui impegnarsi possono veramente essere molte, dalla fame, alla protezione dei deboli, dei bambini, degli anziani, ma anche credere in un progetto aziendale importante, o impegnarsi in un percorso spirituale. 

Il venire meno dei significati della vita o senso della vita generale distrugge qualsiasi volontà di affrontare un progetto o di impegnarsi in un’azione. 

Il nostro fine profondo è recuperare il senso, in ogni brano della vita: senso della giornata, senso di una settimana, senso di un trimestre, senso dell’anno in corso, o senso della vita, ma anche senso di un incontro (perché questo incontro?), senso di una relazione (perché questa relazione?), senso di un progetto (perché questo progetto?), senso di una sfida (perché questa sfida? Chi o cosa sto sfidando veramente?).

Lo scopo penetrante è di accrescere l’ancoraggio delle persone a obiettivi significativi, costruendoli e rinforzandoli (da un lato) e rimuovendo i blocchi (dall’altro) che impediscono a queste energie di manifestarsi.

[1a] Kinnier, Richard T., Kernes, Jerry L., Tridente, Nancy, Van Puymbroeck, Christina M. (2003), What Eminent People Have Said About The Meaning Of Life, Journal of Humanistic Psychology, Vol. 43, No. 1, Winter 2003.

[1b] Camus, A. (1955), The myth of Sisyphus, Alfred A. Knopf, New York.Frankl, V. (1978), The unheard cry for meaning, Simon & Schuster, New York.Frankl, V. (1992), Man’s search for meaning (4th ed.), Beacon Press, Boston.Tolstoy, L. (1980), My confession, in S. Sanders & D. R. Cheney (Eds.), The meaning of life, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, NJ.Jung, C. G. (1933), Modern man in search of a soul (W. S. Dell & C. F. Baynes, Trans.), Harcourt, Brace & World, New York.Seligman, M. E. P. (1990), Why is there so much depression today?, in R. E. Ingram (Ed.), Contemporary psychoanalytical approaches to depression (pp. 1-9), Plenum, New York.Harlow, L. L., Newcomb, M. D., Bentler, P. M. (1986), Depression, self derogation, substance abuse, and suicidal ideation: Lack of purpose in life as a mediational factor, Journal of Clinical Psychology, 42, 5-21. Yalom, Y. D. (1980), Existential psychotherapy, Basic Books, New York. Tolstoy, L. (1980), My confession, in S. Sanders & D. R. Cheney (Eds.), The meaning of life, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, NJ. Jung, C. G. (1933), Modern man in search of a soul (W. S. Dell & C. F. Baynes, Trans.), Harcourt, Brace & World, New York.

Estratto dal volume “Il Potenziale Umano”. Franco Angeli editore, Milano.
Autore: Daniele Trevisani www.studiotrevisani.it
Materiale divulgativo messo a disposizione dall’autore. 

Per approfondimenti:

Photo by Nick Fewings on Unsplash


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La COLLABORAZIONE ti chiede di “lavorare insieme” all’altro la CO-CREAZIONE di “attingere ai tuoi punti di forza e aggiungerli ai punti di forza dell’altro”. Il processo da seguire è diverso, così come è diverso il risultato che puoi ottenere.

Co-creare non significa soltanto collaborare. E’ un risultato che si ottiene quando ciascun individuo fornisce il proprio apporto a uno sforzo collettivo finalizzato e, nel medesimo  tempo, si apre a un’idea di fiducia più ampia, o più elevata. Qui, la  “paura di perdere qualcosa” è silenziata e ci si muove nel proprio “fare” con la convinzione più profonda di portare alla luce, un risultato che ancora nessuno ha concepito.

Collaborare all’interno di un gruppo di lavoro può essere molto faticoso, in quanto ogni membro, nel perseguire un risultato comune, mette in gioco l’esperienza che ha di se stesso, attivando tutta una serie di dinamiche psicologiche collegate ai bisogni più profondi di relazione, appartenenza, sicurezza e d’identità. Ecco allora che si attivano tutta una serie di resistenze che necessitano essere gestite, mediate e facilitate per confluire in un risultato di gruppo che possa considerarsi soddisfacente.

La capacità di co-creare si può tradurre invece, in un mix di maturità, competenza professionale, coraggio (cor agere = agire col cuore) e rispetto dell’altro, che scaturisce da una personalità in sintonia con quella forza vitale interiore, che tende alla realizzazione e all’evoluzione dell’essere umano. Agire questa competenza significa non accontentarsi di un compromesso, ma di perseguire solo e soltanto la gratificazione del co-creare, sapendo che ci si potrà fermare solo e soltanto quando ciascuno sente che il risultato è perfetto. La sensazione qui è quella di fluire. Il singolo non tenta di imporre le proprie opinioni, ma si unisce agli altri portando in dono le proprie idee, conoscenze e competenze che si combinano quasi magicamente, grazie all’attenzione a quella parte più nobile, autentica e gioiosa di chi siamo davvero. L’orientamento al creare insieme, trascende le singole identità.

In questo particolare momento dove i problemi economici, sociali e ambientali sono diventati ancora più sentiti, è richiesto a ciascuno di noi di essere protagonista e responsabile in prima persona della creazione di un nuovo futuro lavorativo al’interno delle nostre aziende. I gruppi di lavoro possono quindi trasformarsi in un luogo ricco di opportunità per relazionarsi in modo più autentico e una palestra per apprendere e sperimentare nuovi modi di creare risultati eccellenti insieme.

Sito Cristina Turconi
Linkedin Cristina Turconi