Articolo estratto dal testo “Negoziazione Interculturale. Comunicazione oltre le barriere culturali“, copyright FrancoAngeli Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.
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Nelle prossime pagine sintetizzeremo i concetti di atto linguistico e di leadership conversazionale, collocandoli successivamente all’interno della negoziazione interculturale.
Ogni “emissione dotata di significato”, all’interno di una negoziazione, costituisce un atto linguistico.
Gli atti linguistici si inseriscono sempre all’interno di linee d’azione comunicativa e contribuiscono a fissare il tipo di relazione in corso (conflittuale, collaborativa, e altre).
Anche altri atti comunicativi assumono significato, ad esempio le emissioni che utilizzano sistemi non verbali (movimento del corpo, gesti, sguardi) e paralinguistici (toni, pause, silenzi, intonazioni).
Vediamo prima il punto più generale. All’interno delle ricerche sulla psicolinguistica, il Relativismo Linguistico ha dimostrato come ogni lingua segmenti il mondo e consenta di vederne aspetti particolari.
Cosa significa che una lingua “segmenta il mondo”? In sostanza, le categorie linguistiche guidano la percezione, focalizzando la mente umana su strati di realtà specifici e togliendo l’attenzione da altri.
La precisione linguistica quindi dipende anche dalla disponibilità di categorie e vocabolari specifici.
Emerge quindi una prima opera che consiste nell’educare l’interlocutore a percepire le differenze. Se un esquimese vuole riuscire a far capire all’europeo la differenza tra i dieci tipi di neve, dovrà associare la parola (etichetta verbale) utilizzata a qualche rappresentazione riconoscibile (una fotografia, o la dimostrazione pratica). Allo stesso tempo, per poter negoziare, è necessario far capire all’altro la diversità tra la sua cultura e la nostra cultura.
Ciascuno dei negoziatori interculturali deve essere disponibile ad apprendere, disponibile a formarsi grazie all’incontro con l’altro. La negoziazione su prodotti nuovi o su progetti mai attuati prima, richiede una fase di acculturazione, che metta la controparte in grado di orientarsi, di capire, e di scegliere consapevolmente all’interno di differenze che prima non poteva percepire.
Come la lingua “segmenta il mondo”, la conversazione “segmenta il gruppo” facendo emergere i rapporti di forza e di leadership. Se il linguaggio contribuisce a costruire la percezione del mondo, la conversazione contribuisce a creare i rapporti di potere e di leadership all’interno dei gruppi. È sufficiente che un richiamo venga disatteso, per generare una drastica caduta di punti nel leadership score (grado di leadership conversazionale del soggetto).
La stratificazione di atti linguistici, mosse conversazionali e relative ripercussioni produce la leadership reale non iscritta nei documenti aziendali o del gruppo, una leadership che si crea nella realtà quotidiana delle conversazioni.
In ciascuno dei diversi momenti comunicativi che avvengono nei gruppi si possono attivare diversi sistemi di comunicazione.
Gli scambi di messaggi che osserviamo tra persone o in un gruppo sono solo la punta dell’iceberg di processi relazionali più forti, i Sistemi Interpersonali Motivazionali (SIM). Alcuni dei SIM più riconosciuti sono:
- attaccamento;
- seduzione;
- agonismo;
- cooperazione.
Il conflitto e i malfunzionamenti dei gruppi partono quindi dal sistema di comunicazione osservabile nella dinamica del gruppo.
La leadership interculturale consiste nel prendere le redini degli incontri interculturali, e riuscire a dirigerli con consapevolezza e tatto culturale. Non significa assolutamente dominio sull’altro, ma consiste in un tentativo di gestione volontaria dei flussi comunicativi, visti dall’alto di una maggiore consapevolezza.
È possibile ad esempio riconoscere quale dei Sistemi Motivazionali si stia generando nella negoziazione, e cercare di modificarlo.
Il principio di cooperazione agisce come collante principale del gruppo, ma anche altri sistemi possono attivarsi per aumentarne il dinamismo.
Continua nel prossimo articolo…
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