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Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Nell’articolo a seguire continueremo a trattare l’argomento della seconda distanza, quella tra codici comunicativi, approfondendo in particolare la distanza semiolinguistica e le differenze che la compongono.

Ognuno di noi fa un’esperienza della realtà sempre leggermente diversa dall’altra persona.  Questo perché ciò che vedo viene filtrato dalle mie esperienze precedenti, viene giudicato come buono o cattivo in base ai miei valori profondi e alle credenze di superficie, e persino agli stati d’animo del momento. 

La percezione, in altre parole, filtra ed esclude parti di realtà, ma la lingua che usiamo è un “attrezzo” molto antiquato che può raccogliere solo un’infinitesima parte di quanto noi “sentiamo dentro” e vorremmo comunicare agli altri. I linguaggi emotivi, la possibilità stessa di far capire a qualcuno come stiamo veramente in un certo momento, avrebbero bisogno di una miriade di sfumature in più che non siamo in grado di esprimere. Per questo siamo costretti ad utilizzare termini ordinari, più vicini possibili alle nostre esperienze, anche se mai del tutto efficaci ai fini dell’espressione emotiva.

La distanza semiolinguistica riguarda la natura del linguaggio (codici linguistici e comunicativi, codici espressivi e di comprensione disponibili nel repertorio del soggetto) e i contenuti conversazionali.  

Si distinguono due grandi categorie:

  1. la categoria dei contenuti (il tema della comunicazione, il “di cosa” si parla)
  2. la forma linguistica (il “come” si parla, il codice utilizzato per dare forma ai contenuti). 

La polarità di codice non è tuttavia solo linguistica. Tale distanza si differenzia in distanza tra codici verbali, distanza tra codici paralinguistici e distanza tra codici non verbali. 

Differenze semantiche

Il caso più evidente di differenza semantica è quello in cui una persona parla un’altra lingua, ma non si tratta solo di questo! Anzi, le distanze tra persone sotto il profilo linguistico sono ben più insidiose e toccano anche persone che abitano nella stessa casa.  

Per comunicare efficacemente dobbiamo quindi avere ben chiari i significati che l’altro attribuisce a determinate parole o segni e comprendere le sue associazioni mentali sui temi inerenti all’argomento conversazionale in corso.

Al contrario, quando ciò non avviene, si possono verificare incomprensioni e rotture della comunicazione.

Differenze di contenuti

Tra i casi di comunicazione che crea distanze vi sono: 

  • il parlare di guai a senso unico: una persona racconta guai, l’altra ascolta ma non ha forze, energie o interessi per ascoltare un tale argomento e si crea allontanamento; 
  • il parlare di sé a senso unico, non lasciare spazio conversazionale, monopolizzare i turni di conversazione; 
  • non interessarsi alle posizioni dell’altro; 
  • non inserire nella comunicazione delle formule di vicinanza;
  • toccare prematuramente sfere proibite del passato o del presente individuale senza avere ottenuto il grado di intimità psicologica che consente di farlo; 
  • attaccare valori cardine del sistema di appartenenza; 
  • attaccare l’immagine del sistema di appartenenza; 
  • attaccare le credenze più consolidate del soggetto. 

Se il nostro modo di comunicare è spiacevole, per i contenuti prevalenti che tratta, provoca allontanamento. Molti comunicatori che in privato sono persone affabili e simpatiche, adottano un formato di conversazione spiacevole nelle negoziazioni e allontanano la controparte. Questo errore viene da un’errata percezione del ruolo di comunicatore come soggetto negativo, o duro e rigido, e va rimosso. 

Differenze di stile comunicativo

Uno stile comunicativo diverso, sia a livello interculturale, ma anche all’interno della stessa cultura nazionale o aziendale, crea distanze: è il caso dello scontro tra uno stile “manageriale” e uno “burocratese”, o tra uno stile “volgare” e uno “colto”. Gli incroci tra stili possono essere funzionali oppure disfunzionali. 

Elenchiamo qui una lista selezionata tra centinaia di possibili stili o sottocodici esistenti: 

  • Poetico 
  • Romantico 
  • Rustico 
  • Snob 
  • Pignolo 
  • Pressapochista 
  • Assertivo 
  • Conciso 
  • Militaresco 
  • …e altri centinaia di stili rilevabili nel contesto sociale e mediatico. 
Differenze di focus

Il problema fondamentale del focus comunicativo è se l’attenzione al contenuto è centrata su di sé, sull’altro o su un tema esterno. 

Per esempio: 

  • si parla per raccontarsi (tipo 1: il centro è su di sé),  
  • si parla per ascoltare (tipo 2: il centro è sull’altro).  
  • si parla per raccontare (tipo 3: il centro è su fatti o eventi esterni). 

È possibile anche cambiare il tipo di focus durante la conversazione, ma occorre essere consapevoli di quale focus stiamo usando e perché. 

Chi parla solo per raccontarsi rischia di diventare pesante e di allontanare l’interlocutore. Per l’efficacia della comunicazione è necessario equilibrare il focus conversazionale. In genere, il piacere della conversazione è spostato su chi ottiene l’attenzione empatica. Quindi, offrire attenzione empatica, interessarsi all’altro è un metodo per creare una conversazione piacevole per il nostro interlocutore.  

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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In questo articolo cercherò di spiegare come tutto ciò che ci circonda esprima un messaggio: dalle esperienze olfattive, passando al look personale, fino alla scelta dei colori e dei simboli, ogni dettaglio va curato per permettere una comunicazione positiva ed efficace.

Olfatto e comunicazione

Le differenze olfattive sul piano etnico e genetico sono realmente esistenti, ma l’olfatto percepito è determinato in larga misura da fattori culturali quali l’alimentazione, la pulizia o l’uso di profumi.  Bisogna far notare che le emissioni olfattive personali sono uno strumento di comunicazione e fanno parte del personal branding.

È certo che l’olfatto incide sulla percezione, e che l’alimentazione produce essenze che trasudano dalla pelle e dal fiato. Questi aspetti sono da curare per chi vuole gestire ogni aspetto, anche i minimi dettagli, della comunicazione e, più in generale, del contatto umano.

Anche l’odore della stanza in cui si negozia, le percezioni olfattive incontrate lungo il percorso, nei corridoi, nei parcheggi e piazzali formano la people perception complessiva (l’immagine dell’altro). Tutto ciò che si può attribuire in qualche misura al soggetto o all’ambiente aziendale incide sulla percezione e sull’immagine.

L’olfatto però è un senso remoto dell’essere umano, parzialmente abbandonato a favore di sensi quali vista e udito: i segnali di fiducia e sfiducia, la percezione delle emozioni altrui, sono quindi da affinare soprattutto nella capacità del comunicatore di cogliere i movimenti facciali emotivamente incontrollati, il timbro vocale e le rotture del tono della voce che segnalano stress vocale ed emotivo

Altri studi sostengono comunque che la capacità olfattiva si sia solo attenuata e vi siano a livello inconscio continui scambi olfattivi, ad esempio l’analisi delle possibili compatibilità sessuali tra uomini e donne.  A livello interpersonale non sono possibili al momento strategie comunicative olfattive in grado di riconoscere emozioni su base feromonica, ma sono comunque possibili odorizzazioni personali mirate e strategiche.  

Comunicare attraverso il look personale

Possiamo asserire che un manager con capelli lunghi, orecchini, tatuaggi e abiti vistosamente colorati sia considerato uguale ad un manager in abito scuro e cravatta, agli occhi di un cliente tradizionalista borghese europeo? No di certo. Le persone giudicano in base all’impatto visivo, e si formulano immagini e opinioni ancora prima di avere udito una singola parola. 

Della storia reale dei soggetti infatti non possiamo conoscere praticamente niente, eccetto i simboli che scorgiamo e dai quali traiamo possibili significati e associazioni. La comunicazione simbolica riguarda i significati che le persone associano o recepiscono da particolari “segni” che notano nell’interlocutore e nel suo spazio comunicativo.

Look, abbigliamento e accessori sono tra i fattori più incisivi per costruire un’immagine personale: le differenze o similarità di abbigliamento, così come dei capelli, dei segni sul corpo, dello stato e della cura della pelle, ecc… fanno rientrare un soggetto all’interno degli ingroup professionali (“uno come noi”, gli “uguali”) o degli outgroup (“uno diverso da noi”, gli “altri”), qualsiasi cosa rappresenti per il soggetto il “noi”. 

In un sistema di significazione allargata, diventano importanti anche le simbologie che esprimono i marchi utilizzati, il tipo di auto (da lavoro, da città, fuoristrada, sportiva, lussuosa, e il marchio), le griffes, e persino gli arredi degli uffici, i quadri appesi alle pareti, l’arredamento. 

Costituiscono segnali allargati anche i comportamenti cronemici (il rapporto delle azioni con il tempo), come l’arrivare in anticipo, puntuali, o in ritardo, la frequenza che notiamo nel cambiarsi d’abito, la puntualità di invio di una e-mail, la tranquillità o nervosismo nel modo di guidare, i tempi che una persona impiega nel mangiare o nel bere (lento e calmo vs. veloce e vorace).  

Si può dire che nel campo della comunicazione nulla sfugge all’osservazione dell’interlocutore, e ogni “segno” contribuisce alla sua classificazione e valutazione. 

Colori e simboli

Un elemento ulteriore di comunicazione simbolica è dato dai colori. Anche l’uso dei colori e i simbolismi ad essi associati variano a seconda delle culture. Prendiamo come esempio il giallo, che nei paesi occidentali viene associato ai segnali di attenzione, mentre in Cina rappresenta la ricchezza e l’autorità, oppure il viola che in America Latina è un colore funebre mentre in Europa si associa alla regalità.  

È importante sottolineare la necessità di porre attenzione ai simbolismi associati ai colori ogniqualvolta ci si pongano problemi di scelta di colori e grafiche, per esempio nei packaging, nei regali di rappresentanza, negli oggetti. Tra i colori più “sicuri” sul piano culturale si colloca il blu, ma praticamente tutti i colori, così come anche l’oggettistica e i simboli, assumono alcuni significati particolari in alcuni paesi.

Il principio base per evitare macroscopici errori è l’uso del pre-test, della “prova pilota” su alcuni soggetti: piccoli campioni, persone rappresentative della cultura locale che siano in grado di dare feedback sulla appropriatezza dei colori, delle forme e dei simbolismi, dei messaggi, visti dall’interno della cultura stessa. 

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Continuiamo a parlare di comunicazione non verbale trattando questa volta il concetto di paralinguistica, passando poi al training non verbale e infine al tema della consonanza e dissonanza tra stili linguistici e non verbali, che può portare nel primo caso ad una comunicazione efficace, e nel secondo caso ad un possibile fallimento comunicativo.

La paralinguistica

La paralinguistica riguarda tutte le emissioni vocali che non siano riconducibili strettamente a “parole”, e comprende: 

  • il tono della voce; 
  • il volume; 
  • i silenzi; 
  • le pause; 
  • il ritmo del parlato; 
  • le interiezioni (brevi emissioni, come “ehm”, “uhm”…). 

Essa stabilisce la punteggiatura del parlato e contribuisce a trasmettere le informazioni emotive. Messaggi quali “sono teso”, “sono arrabbiato” o “sono ben disposto” trasudano più dal sistema paralinguistico (percepibile dal suono, a livello uditivo) che dal sistema linguistico (parole e frasi).  

Una frase può portare con sé significati completamente diversi in base all’enfasi posta su parole e al tono di voce. 

Training non verbale

L’addestramento all’uso del paralinguistico richiede un training sull’uso strategico delle pause e dei toni. In generale, la formazione per il non verbale prevede l’accesso a tutti i repertori delle tecniche teatrali e dell’attore: il metodo Stanislavskij e altri metodi di formazione teatrale sono gli unici veramente in grado di agire in profondità sulla formazione e sulla trasformazione dei comportamenti espressivi degli adulti. 

Un training adeguato può essere utile per addestrare il comunicatore a cogliere il tremore della voce altrui (sintomo di nervosismo e stress) e le reazioni non verbali alle proprie affermazioni, e ad agire “teatralmente” tramite movimento, pause e alternanze di ritmi per dare enfasi a parti del discorso e ai punti chiave da fare emergere. 

Come per ogni altro compito manageriale, senza un’adeguata preparazione le chances di essere competitivi sul piano comunicativo calano quando gli equilibri di competenze sono sbilanciati. All’aumentare del divario tra il nostro training e il grado di training della controparte aumentano i rischi di esito sfavorevole di ogni comunicazione. 

Consonanza e dissonanza tra stili linguistici e non verbali

La comunicazione non verbale può rinforzare il messaggio verbale o essere dissonante rispetto a questo. Parlarsi chiaro vuol dire anche cercare coerenza tra i messaggi verbali che emettiamo e la nostra comunicazione non verbale. Se dico un no vero, lo posso accompagnare da un gesto corporeo che segnala il diniego. Se dico un , lo posso accompagnare anche con il body language, con un gesto di apertura delle braccia e un cenno del capo, che mostri che il mio è sentito. 

Quando il corpo dice altro rispetto alla voce, siamo in presenza di incongruenze comunicative o dissonanze comunicative. 

Ascoltare attentamente e dare cenni di assenso può segnalare interesse molto più di una semplice dichiarazione verbale. Dire “sono interessato” con le parole ed esprimere noia o disgusto con le azioni del corpo produce un segnale dissonante e crea sospetto o irritazione. 

I segnali non verbali possono indicare che l’interlocutore stia seguendo con atteggiamento positivo o negativo il dialogo. Le reazioni negative in generale sono denotate da: 

  • angolazioni del corpo (spalle ritratte, allontanamento); 
  • volto (teso, dimostra rabbia); 
  • voce (tono negativo, silenzi improvvisi); 
  • mani (movimenti di rifiuto o disapprovazione, movimenti tesi); 
  • braccia (tese, incrociate sul petto); 
  • gambe (incrociate o che si allontanano nell’angolazione). 

Per riassumere, ogni stile linguistico (a livello interpersonale) si associa ad una precisa modulazione dello stile non verbale. Possiamo infatti avere: 

  • situazioni di rinforzo comunicativo (lo stile non verbale rafforza lo stile verbale); 
  • situazioni di dissonanza o incongruenza tra verbale e non-verbale (la comunicazione non verbale procede su un registro diverso rispetto a quella verbale). 

Le dissonanze riguardano ogni sistema semiotico, ogni segno portatore di possibili significati. Per esempio, un’azienda che si dichiari importante e non abbia un sito internet, o abbia un sito amatoriale, esprime una dissonanza d’immagine.

Concludendo, la coerenza (matching) tra parole e azioni, tra comunicazione verbale e non verbale: 

  • aumenta l’onestà percepita del soggetto; 
  • denota e crea fiducia (trustworthiness); 
  • dimostra interessamento; 
  • mostra che siamo in controllo della situazione; 
  • produce senso di sicurezza e solidità dei contenuti. 

Al contrario, l’incongruenza tra i canali comunicativi verbali e non verbali: 

  • crea senso di sfiducia; 
  • genera sensazioni di scarsa autenticità; 
  • produce dubbi e sospetti di falsità sui contenuti verbali ascoltati; 
  • genera effetti negativi sul personal branding e sull’immagine personale. 
libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Restiamo nell’ambito della seconda distanza, introducendo il linguaggio non verbale e le sue differenze culturali.

Il codice comunicativo umano comprende il movimento corporeo e persino le stesse caratteristiche corporee osservabili, che assumono funzione di elemento comunicativo, come un tatuaggio, il grado di cura della pelle, o dei capelli, il look fisico e gli accessori e abbigliamento. 

Il corpo parla, esprime significati, emozioni e sentimenti. Anche i tentativi di bloccare queste emozioni e sentimenti sono essi stessi “metamessaggi”: vedere una persona che non esprime alcuna emozione, o si sforza di reprimerle è di per sé un segnale che porta a specifiche riflessioni. 

Body language

Il body language riguarda: 

  • la mimica facciale e le espressioni facciali; 
  • i cenni del capo; 
  • i movimenti degli arti e la gestualità; 
  • i movimenti del corpo e le distanze; 
  • il tatto e il contatto fisico.

Le differenze culturali su questi punti possono essere molto ampie.  Pe questo motivo la distanza di Codice (D2) è spesso maggiore di quanto si supponga.

Le culture variano molto sul tipo di gestualità. Per esempio in una comunicazione italo-cinese si possono notare evidenti differenze tra la gestualità italiana e le sue tipiche espressioni facciali, mediamente più ampie ed evidenti, e quelle cinesi, più contenute.

Il contatto fisico

Oltre ai movimenti del corpo e del viso, un altro elemento molto importante della comunicazione non verbale è il contatto fisico. L’intimità del contatto fisico è in genere preclusa a molte culture e relegata a contesti molto limitati quali la stretta di mano, e va usato con attenzione. 

Mentre alcuni standard occidentali di contatto fisico si diffondono nell’intera comunità di business, come la stretta di mano, ma ogni cultura esprime un diverso grado di contatto nei saluti e nelle interazioni fisiche.  In generale, qualora non sia possibile raccogliere informazioni accurate da esperti della cultura locale, è preferibile limitare il contatto fisico per non generare un senso di invasività. 

In generale, la D2 parla anche del grado di intimità che due persone possono avere tra di loro. Il nostro modo di comunicare, dalla parola al tocco sino a interi brani di non verbale hanno a che fare con la distanza emotiva e persino con la distanza o vicinanza spirituale delle persone. Esiste quindi quella che possiamo chiamare una “prossemica emozionale” (studio delle distanze di valori sul piano emotivo) e una “prossemica spirituale” (studio delle distanze di valori sul piano spirituale).  

Gli intenti di chi comunica sono altrettanto forti, e collegano la D2 (codici comunicativi) alla D1 (ruolo che voglio giocare nella relazione). Esiste un driver, una pulsione in ognuno di noi: il desiderio di avere una comunicazione autentica e di comprenderci reciprocamente. Ma, anche se c’è la volontà di comprendersi, bisogna fare i conti con il problema tecnico del comunicare, ed essere consapevoli che non sempre c’è la possibilità di comprendersi davvero a fondo.

L’uso dello spazio nella comunicazione

Ogni cultura ha regole non scritte per delimitare i confini di accettabilità delle distanze interpersonali e delle disposizioni delle persone. 

Anche in questo caso, vale il principio di ricorrere alla conoscenza di esperti della cultura locale, mentre una regola valida in caso di mancata conoscenza è quella di lasciare che sia la controparte a definire il proprio grado di distanza, senza forzare né un avvicinamento né un allontanamento. 

La consapevolezza principale da sviluppare è quella della “distanza critica”, che definisce la distanza interpersonale entro la quale un soggetto si sente vulnerabile, esposto ai rischi di un’aggressione.  La distanza personale viene infatti definita da Hall come “una bolla invisibile che circonda l’organismo”.

Al di là delle regole intra-culturali, alcuni atteggiamenti relativi alle distanze sono trasversali alle culture perché ancorati alla radice animale umana. Per esempio “lasciare il posto”, dare spazio a qualcuno, è uno strumento per assegnare status, riconoscere l’importanza dell’interlocutore, e comunicare rispetto.   

Per il comunicatore consapevole, non è da intendere come pura sottomissione, ma può assumere anche la funzione di mossa tattica, atto di cortesia relazionale che precede il confronto negoziale vero e proprio. Far stare scomodi, al contrario, serve per stabilire forti distanze.  

Alcuni comunicatori usano tattiche specificamente volte a turbare l’equilibrio emotivo del soggetto (logoramento emotivo). In questo modo si crea dissonanza interna, e quando si è in dissonanza interna, si è più deboli nella comunicazione e la comunicazione personale si fa più scomposta.  

La tattica adeguata è quella di esigere un grado di comfort superiore, ma solo se si ha la quasi matematica certezza che una specifica mossa di avversità sia in corso, e quelle non siano le reali condizioni massime di accoglienza che il soggetto è in grado di offrire. 

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Negoziazione Interculturale. Comunicazione oltre le barriere culturali“, copyright FrancoAngeli Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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In questa seconda parte continuiamo a parlare della comunicazione non verbale e delle sue caratteristiche, concentrandoci sulla formazione, sulla percezione sensoriale, sulla cura del proprio look, sull’importanza del colore e sulle assonanze e dissonanze tra linguaggio verbale e non.

Formazione

L’addestramento all’uso del paralinguistico richiede un training sull’uso strategico delle pause e dei toni. In generale, la formazione per il non verbale prevede l’accesso a tutti i repertori delle tecniche teatrali e dell’attore, il metodo Stanislavskij e altri metodi di formazione teatrale, gli unici veramente in grado di agire in profondità sulla trasformazione dei comportamenti espressivi.

Come per ogni altro compito manageriale, senza una adeguata preparazione le chances di essere competitivi sul piano negoziale calano quando gli equilibri di competenze sono sbilanciati. All’aumentare del divario tra il nostro training e il grado di training della controparte, aumentano i rischi di esito sfavorevole di ogni negoziazione.

Percezioni sensoriali

Alcuni luoghi comuni nei campus universitari multiculturali sono che i bianchi “sanno di pollo”,  gli asiatici “puzzano di aglio”, i neri “sanno di sudore”, e altri stereotipi curiosi.

Le differenze olfattive sul piano etnico e genetico sono realmente esistenti, ma l’olfatto percepito è determinato in larga misura da fattori culturali quali l’alimentazione, la pulizia o l’uso di profumi.

Le emissioni olfattive personali sono uno strumento di comunicazione.

È certo che l’olfatto incide sulla percezione, e che l’alimentazione produce essenze che trasudano dalla pelle e dal fiato. Questi aspetti sono da curare per chi vuole gestire ogni aspetto, anche i minimi dettagli, della negoziazione interculturale e più in generale del contatto umano.

Tutto ciò che si può attribuire in qualche misura al soggetto o all’ambiente aziendale incide sulla percezione e sull’immagine. Alcune catene di abbigliamento sono ricorse alla odorizzazione mirata dei punti di vendita per creare un clima più rilassato e piacevole (marketing olfattivo ambientale).

L’olfatto è un senso remoto dell’essere umano, parzialmente abbandonato a favore di sensi quali vista e udito. I “nasi” animali sono in grado di cogliere odori che segnalano emozioni o predisposizioni sessuali, mentre i nasi umani sembrano aver perso questo tratto.

I segnali di fiducia e sfiducia, la percezione delle emozioni altrui, sono quindi da affinare soprattutto nella capacità del negoziatore di cogliere movimenti facciali emotivamente incontrollati, il timbro vocale e le rotture del tono della voce che segnalano stress vocale ed emotivo.

A livello interpersonale non sono possibili al momento strategie olfattive negoziali in grado di riconoscere emozioni su base feromonica (ormoni secreti dalle ghiandole umane), ma sono comunque possibili odorizzazioni personali mirate e strategiche.

Esistono implicazioni pratiche per una odorizzazione personale consapevole – evitare cibi che possono dare luogo a forti emissioni tramite il fiato, evitare profumazioni personali eccessive, essere consapevoli degli odori personali (es, sudore), considerare dell’importanza di un marketing ambientale olfattivo adeguato.

Look personale

Della storia reale dei soggetti possiamo conoscere praticamente niente, eccetto i simboli che scorgiamo e dai quali traiamo possibili significati e associazioni. La comunicazione simbolica riguarda i significati che le persone associano o recepiscono da particolari “segni” che notano nell’interlocutore e nel suo spazio comunicativo. Per spazio comunicativo intendiamo qui ogni area di elementi che venga attribuita al “sistema” del soggetto, alle sue possibili espressioni consapevoli o meno, come la sua macchina, o lo sfondo del suo PC, e qualsiasi altro segno da cui ricaviamo inferenze, significati, interpretazioni.

Dal punto di vista semiotico, diventa “segno” ogni elemento dal quale un soggetto trae significati, sia che il portatore ne sia consapevole o meno.

Look, abbigliamento e accessori sono tra i fattori più incisivi per costruire l’immagine personale.

Le differenze o similarità di abbigliamento fanno rientrare un soggetto all’interno degli ingroup professionali (“uno come noi”, gli “uguali”) o degli outgroup (“uno diverso da noi”), qualsiasi cosa rappresenti per il soggetto il “noi”.

In un sistema di significazione allargata, diventano importanti anche le simbologie che esprimono i marchi utilizzati, il tipo di auto (da lavoro, da città, fuoristrada, sportiva, lussuosa), le griffes, e persino gli arredi degli uffici, i quadri appesi alle pareti, l’arredamento.

Costituiscono segnali allargati anche i comportamenti cronemici (il seguirsi delle azioni nel tempo), come la frequenza che notiamo nel cambiarsi d’abito, la puntualità, la tranquillità o nervosismo nel modo di guidare, i tempi che una persona impiega nel mangiare o nel bere (lento e calmo vs. veloce e vorace).

Anche il tempo che una persona impiega a rispondere ad una domanda può essere significativo: risposte lente o troppo meditate possono essere interpretate come poco sincere nelle culture occidentali, oppure al contrario sagge e ponderate in culture “ad alto contesto” come quelle orientali.

Si può dire che nel campo della comunicazione interculturale nulla sfugge all’osservazione dell’interlocutore, e ogni “segno” contribuisce alla sua classificazione e valutazione.

Colori

Un elemento ulteriore di comunicazione simbolica è dato dall’uso dei  colori. Anche l’uso dei colori e i simbolismi associati ai colori variano a seconda delle culture.

Non è possibile in questo volume trattare una scala di associazioni per ogni colore in ogni nazione, ma sottolineiamo la necessità di porre attenzione ai simbolismi associati ai colori, ogniqualvolta ci si pongano problemi di scelta di colori e grafiche, ad esempio nei packaging, nei regali di rappresentanza, negli oggetti.

Anche l’oggettistica e i simboli non sono neutri: un’azienda italiana, per esempio, ha utilizzato simboli di mano (es: una mano aperta) per creare logo aziendali e portachiavi, producendo una ondata di proteste dalla Grecia, ove il simbolo della mano aperta si usa per offendere.

Il principio base per evitare macroscopici errori è l’uso del pre-test, della “prova pilota” su alcuni soggetti, piccoli campioni, persone rappresentative della cultura locale che siano in grado di dare feedback sulla appropriatezza dei colori, delle forme e dei simbolismi, dei messaggi, visti dall’interno della cultura stessa.

Il metodo del pre-test vale anche per la scelta di regali, doni, e ogni altra azione simbolica il cui impatto possa variare su base culturale.

consonanze e dissonanze tra linguaggio verbale e non verbale

La comunicazione non verbale può rinforzare il messaggio verbale o essere dissonante rispetto a questo.

Ascoltare attentamente e dare cenni di assenso può segnalare interesse molto più di una semplice dichiarazione verbale. Dire “sono interessato” con le parole ed esprimere noia o disgusto con le azioni del corpo produce un segnale dissonante e crea sospetto o irritazione.

La coerenza (matching) tra parole e azioni:

  • aumenta l’onestà percepita del soggetto;
  • denota fiducia (trustworthiness);
  • dimostra interessamento;
  • mostra che siamo in controllo della situazione;
  • produce senso di sicurezza e solidità dei contenuti.

Al contrario, l’incongruenza:

  • crea senso di sfiducia;
  • genera sensazioni di scarsa autenticità;
  • produce dubbi e sospetti di falsità sui contenuti verbali ascoltati.

Ogni stile linguistico (a livello interpersonale), si associa ad una precisa modulazione dello stile non verbale. Possiamo infatti avere:

  • situazioni di rinforzo comunicativo (lo stile non verbale rafforza lo stile verbale);
  • situazioni di dissonanza o incongruenza tra verbale e non-verbale: la comunicazione non verbale procede su un registro diverso rispetto a quella verbale).

Le dissonanze riguardano ogni sistema semiotico, ogni segno portatore di possibili significati. Un’azienda che si dichiari importante e non abbia un sito internet, o abbia un sito amatoriale, esprime una dissonanza d’immagine, così come un negoziatore dimentichi di portare con sè strumenti indispensabili (cataloghi, calcolatori, e ogni altro strumento necessario e atteso).

libro "Negoziazione Interculturale" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi: