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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

Guidare l’esplorazione umana su Marte è un atto mitico, non solo tecnico e scientifico. Produrre energia pulita e arrivare ad avere case che producono energia anziché consumare petrolio e risorse rare, è un atto mitico.

Nella leadership vera il mito si fonde con la realtà perché i leader veramente visionari sanno volare con la fantasia e vedere possibili cose che per altri sono utopiche.

leadership e vision

Questo meccanismo era ben conosciuto a chi ha saputo costruire grandi movimenti sia religiosi che politici. Senza giudicarne i valori, possiamo notare come il comunismo abbia nel lavoro, nello stesso simbolo della falce (il lavoro nei campi) e del martello (il lavoro nella fabbrica) un valore mitologico.

Il nazismo ha anch’esso avuto storicamente un’enorme attenzione alla costruzione scientifica di mitologie, andando a recuperare un’identità mitica dalle tradizioni greche e romane, identità chiaramente visibile nei “costumi di scena” e nelle parate (Lacoue-Labarthe e Nancy 1992, p. 47).

Il fascismo ha utilizzato il mito del lavoro nei campi, della forza fisica, del coraggio e del­l’ardimento, obbligando i gerarchi a dare essi stessi prova di coraggio anziché chiederne solo ai sottoposti. In questo, il sistema di leadership aveva funzionato bene.

Il mito diventa necessario e indispensabile per costruire un “sogno” (nel nazismo il sogno germanico del dominio del pianeta, nel comunismo la ricerca dell’egualitarismo che tuttavia annullava le pulsioni individuali).

Nelle aziende e nei team non è molto diverso: un sogno (vincere un campionato, diventare ed essere chiamati campioni, passare alla storia) funge da motore ispirativo e viene usato dai leader come motore della motivazione.

Il mito comprende diverse caratteristiche:

•     un’adesione fideistica, ciò che rende vero il mito è l’adesione del sognatore al suo sogno, fino a che il mito non si impossessa del­l’uomo nella sua interezza;

•     la credenza totale, l’adesione immediata e senza riserve alla figura sognata, qualcuno che incarni la figura, qualcuno che la manifesti, qualcuno che le permetta di prendere forma. Il mito è un elemento molto “ico­nico”, costruisce immagini, le idealizza, le pone come punti di arrivo.

Il martellamento mitico-simbolico crea una sorta di “ambiente culturale” che possiamo chiamare “mitosfera”, un insieme di messaggi comunicativi, visivi, uditivi, polisensoriali, che riempiono la vita e il quotidiano delle persone sino a fondersi con esse. Un ambiente in cui si creano figure idealizzate, miti positivi da imitare e ricercare, per i quali dare tutto, tutte le proprie energie, persino la vita, e miti negativi da odiare, “cattivi” e nemici verso i quali combattere con tutte le proprie forze.

Bene, possiamo apprezzare questo stato di cose o averne ribrezzo, ma il meccanismo sociale della leadership ha dei propri funzionamenti che un buon ricercatore deve riuscire a osservare, capire, isolare, indossando un “camice bianco” da analista. Dopo, e solo dopo averli capiti, potrà confrontare questi meccanismi con i propri valori e dire “mi piace” o “non mi piace”, sono d’accordo o non sono d’accordo.

Di un fatto possiamo essere certi. La leadership dipende ampiamente dalla capacità comunicativa dei leader. La leadership è nulla se non vi sono persone disposte a credere nei principi e valori del gruppo di cui vogliono far parte.

Nessuna persona “ordinaria” diventa forza speciale solo perché immessa in un gruppo in modo burocratico o iscrittasi, volontariamente o persino “costretta ad appartenere”.

Ciò che rende veramente speciale una persona e un team sono la qualità del pensiero, la lucidità tattica, la capacità di focalizzazione, le capacità di comunicazione (sia emozionale che coordinativa), i valori che si seguono, e il continuo lavoro per migliorare sé stessi.

Puntare a costruire un tassello del puzzle con cui l’umanità intera potrà migliorare ha in sé un lato mitico. Essere leader di una squadra di persone che scava un grande buco per poi ricoprirlo con la stessa terra, e altre azioni inutili, è una forma di leadership dispregiativa, persino ripugnante quando ci si fregia del titolo di “capo” o leader ma lo scopo sottostante a cui si lavora non vale nulla. Interi “burocratifici” sono stati costruiti con il solo scopo di nominare dirigenti e leader del nulla.

Il recupero della miticità della leadership consiste nella riscoperta dello “scopo nobile verso il quale lavoriamo”, per cui non esiste niente di veramente nobile nel costruire Ferrari se queste devono diventare il bene di lusso per pochi sceicchi e miliardari, e inquinare più di auto normali, mentre è molto più nobile l’ingegnere che guida la ricerca di un veicolo di trasporto pulito, sicuro, e che aiuta la razza umana e non pochi ricchi eletti.

La dimensione mitica della leadership deve tornare a fare i conti con i valori di fondo per cui si lotta o non si lotta. I valori che ci sono o non ci sono. Senza que­st’analisi, i miti dei leader e grandi condottieri diventano favole da raccontare ai bambini, ma solo finché non sono abbastanza grandi per capire la truffa che si nasconde dietro alle bugie.

La leadership può essere considerata una prosecuzione in età adulta di quella che Adler ha individuato come la “libera forza creatrice dell’individuo nella prima infanzia” (Adler 1933), e il senso della leadership arriva a coincidere con il “senso della vita” individuato da Adler, la voglia o meno di contribuire a qualche cosa che vada oltre la nostra vita materiale e limitata.

La leadership non può fare a meno di confrontarsi con il “senso” che si dà alla vita e alla propria vita in particolare. Voler essere utile a qualche cosa, adoperarsi per qualche cosa, e chiedersi se questo fare sia importante o meno.

Tutto va imparato non per esibirlo, ma per adoperarlo.

Georg Christoph Lichtenberg

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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

qualità comunicativa

Elementi di qualità comunicativa di un leader:

•     chiarezza del messaggio, coerenza tra i vari messaggi;

•     riferimenti, presenza di “deissi” (chi, dove, come, quando, con chi, dati ed elementi di verità) in grado di ridurre confusione e combattere l’“entropia” (deriva verso il caos) nel progetto;

•     sensibilità emotiva: sa quando un messaggio può essere utile, motivante, e quando corrosivo, distruttivo; di base lavora per costruire;

•     sensibilità situazionale: sa quando è il momento di dare istruzioni rapide, ordini, e quando è il momento di ascoltare, di soppesare, empatizzare. Capire se si tratta di una situazione di crisi, di routine, di picco, di dare istruzioni, fornire un chiarimento, o di altro. Se così non fosse, un leader dirigerebbe un’evacuazione da un incendio come un colloquio psicanalitico.

Ogni gruppo indistintamente può passare da un assembramento casuale e forzato di persone, praticamente una massa di amebe che se ne fregano una dell’altra, a una forza speciale intesa come energie umane in azione che si coordinano e di cui qualcuno prende la responsabilità coordinativa (leadership).

La comunicazione di un buon leader ha capacità coordinative (pratiche) e ispirative (leadership spirituale e morale).

Quando queste due aree si uniscono, un gruppo diventa capace di cose incredibili. Un buon addestramento e formazione sulle comunicazioni operative sa attivare dei valori che motivano le persone a esserci e insegna alle persone come coordinare i loro sforzi.

Principio 2 – La comunicazione di un buon leader

La qualità della comunicazione è un fattore chiave per la leadership. La comunicazione di un buon leader:

•     è chiara e consistente nei messaggi, riferimenti, “deissi”, chiara nelle aspettative nei riguardi delle persone e le trasmette apertamente;

•     è chiara nei sistemi di “rinforzo” o “premi psicologici” dei comportamenti virtuosi e riconosce impegno, sforzi e risultati;

•     non trasmette aspettative impossibili, negative e demotivanti, ma input possibili e motivanti, distinguendo bene la trasmissione di una “vision” dalle comunicazioni operative che si attuano per produrre questa vision;

•     instilla “pride & recognition”: orgoglio e senso di appartenenza al gruppo;

•     è chiara sui “rinforzi negativi”, punizioni e interventi correttivi: riprende i comportamenti che non vanno, non li lascia strisciare né crescere, sa farsi valere quando serve, consapevole che il futuro del gruppo dipende dalla sua coesione e dai comportamenti agiti in ogni istante che conta;

•     tiene un buon battle rhythm, un ritmo di battaglia, una ritmica di messaggi e azioni che ha un suo flusso e una sua logica, una cadenza, una continuità, momenti e picchi alti e pause ragionate, in un concerto ben consapevole.

Se fossimo un’orchestra, chiediamoci: che brano vogliamo suonare ora in questo gruppo? Una marcia funebre, o la Cavalcata delle Valchirie? Un brano con sfondi emotivi allegri o tristi? Una musica epica o popolare? Che ritmi si sentono? 60, 120 battiti per minuto o 200? E per quanto una persona può tenere 200 battiti per minuto senza crollare?

Tutto questo ha a che fare con la gestione delle energie dei membri del team e soprattutto l’autogestione delle energie da parte del leader stesso. Il lavoro su di sé, da parte del leader, diventa sempre più una necessità quanto più alti sono gli obiettivi.

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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

team leadership

Esistono molte forme di leadership. Questo lavoro di ricerca vuole esaminare anche i gruppi come “sistemi di energie”.

Le energie nutrono e gli esseri umani hanno bisogno di comunicare tanto quanto hanno bisogno di aria, di proteine, di carboidrati, grassi e vitamine. Un buon leader è quindi anche un grande motore di energie. Usa la comunicazione consapevole del fatto che essa può essere nutrimento o invece tossina. Un buon leader ama il suo team e vuole il suo bene; in caso contrario, si tratta solo di un manovratore e di un burattinaio.

Vi sono metodi diversi per classificare i tipi di leader. Alcuni vedono il leader come un condottiero operativo immischiato nella battaglia e sporco di fango tanto quanto i suoi compagni di battaglie, altri come un visionario mistico, distaccato, etereo, superiore alle banalità quotidiane.

Un’alternativa è osservare un leader come generatore di energie, un direttore d’orchestra che sa canalizzare le energie e competenze di ogni musicista entro un brano in cui possono entrare decine o centinaia di strumenti per comporre qualche cosa di meraviglioso.

Ogni volta che due o più persone si uniscono per fare qualche cosa di speciale, nasce una nuova forma di energia. Le energie di più persone che credono in qualcosa non solo si sommano ma si moltiplicano. Le intelligenze altrui diventano le nostre risorse. Le energie degli altri sono lo stimolo che ci permette di superare i nostri limiti.

In un’esplosione di forze, prende vita un’entità, da una diade sino a un firmamento di persone che si influenzano a vicenda, producendo quello che in una letteratura esoterica viene chiamata un’“egregora” positiva, un’entità mentale generata dal pensiero e dallo stato mentale del gruppo, che opera quasi a sé stante, dona energia a ogni partecipante ed è in grado di influenzare lo stato di ogni singolo appartenente al gruppo stesso.

Quando entriamo in un insieme, in un ambiente, in una riunione, in un’azienda, possiamo quasi percepire il “clima” che si respira, o come in alcune canzoni viene descritta, la “vibrazione”, vibrazioni positive o vibrazioni negative. Sentiamo letteralmente la presenza di energie o l’as­senza di energie, in modo così forte e tangibile che la scienza deve ancora capire di che cosa si tratti veramente.

In altri insiemi notiamo la dominanza di “egregore” negative, stati mentali e comunicativi che drenano energie, leader tossici, e persone che inquinano il gruppo.

La leadership e la formazione, in senso forte, hanno a che fare con la creazione di gruppi in cui le persone hanno voglia di riversare le loro migliori energie venendone a loro volta ricaricate. Chi ne fa parte sente di essere entro qualche cosa di speciale, sente il proprio contributo, come il dipingere anche solo un tratto di un nuovo, fantastico, quadro a più mani.

Per farlo, occorre saper portare le persone a nuovi livelli di coscienza, e anche i leader devono saper fare di se stessi un grande laboratorio di crescita personale, per poter ispirare le coscienze e invitarle a elevarsi.

La qualità della comunicazione, intesa proprio come “tipo” di comunicazione che circola in gruppo, determina l’egregora dominante.

Quando in un gruppo predominano comunicazioni apatiche, negative, distruttive, e “leader tossici”, questo gruppo sarà presto appestato da energie emotive negative. Dove circolano messaggi chiari, circola rispetto, i messaggi sono portatori di valori, le persone si sanno ascoltare e valorizzare, allora questo gruppo viene permeato da energie emotive positive e ricarica ogni membro che vi appartiene.

La comunicazione operativa vuole fare risplendere questo firmamento nel suo pieno potenziale, alimentarlo di energie, proiettare nella sua danza, e non permettere che, come accade a tante stelle, imploda, si spenga, o si inquini. È questione di credere o meno nel potenziale umano e nel fatto di volere a tutti i costi vederlo innalzarsi nel suo splendore possibile (Trevisani 2008).

Che si tratti di gruppi di manager, di atleti, di vigili del fuoco e soccorritori, di una squadra di calcio o di pallavolo, di un’équipe marziale, di un gruppo di artisti, poco importa. Ciò che rende speciale un gruppo sono i valori che esso persegue. E come questi si trasformano in atti comunicativi di qualità.

Tali valori devono guidare i gruppi a fare cose che altri non possono nemmeno pensare o ad agire con spirito e passione.

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