• chiarezza del messaggio, coerenza tra i vari messaggi;
• riferimenti, presenza di “deissi” (chi, dove, come, quando, con chi, dati ed elementi di verità) in grado di ridurre confusione e combattere l’“entropia” (deriva verso il caos) nel progetto;
• sensibilità emotiva: sa quando un messaggio può essere utile, motivante, e quando corrosivo, distruttivo; di base lavora per costruire;
• sensibilità situazionale: sa quando è il momento di dare istruzioni rapide, ordini, e quando è il momento di ascoltare, di soppesare, empatizzare. Capire se si tratta di una situazione di crisi, di routine, di picco, di dare istruzioni, fornire un chiarimento, o di altro. Se così non fosse, un leader dirigerebbe un’evacuazione da un incendio come un colloquio psicanalitico.
Ogni gruppo indistintamente può passare da un assembramento casuale e forzato di persone, praticamente una massa di amebe che se ne fregano una dell’altra, a una forza speciale intesa come energie umane in azione che si coordinano e di cui qualcuno prende la responsabilità coordinativa (leadership).
La comunicazione di un buon leader ha capacità coordinative (pratiche) e ispirative (leadership spirituale e morale).
Quando queste due aree si uniscono, un gruppo diventa capace di cose incredibili. Un buon addestramento e formazione sulle comunicazioni operative sa attivare dei valori che motivano le persone a esserci e insegna alle persone come coordinare i loro sforzi.
La qualità della comunicazione è un fattore chiave per la leadership. La comunicazione di un buon leader:
• è chiara e consistente nei messaggi, riferimenti, “deissi”, chiara nelle aspettative nei riguardi delle persone e le trasmette apertamente;
• è chiara nei sistemi di “rinforzo” o “premi psicologici” dei comportamenti virtuosi e riconosce impegno, sforzi e risultati;
• non trasmette aspettative impossibili, negative e demotivanti, ma input possibili e motivanti, distinguendo bene la trasmissione di una “vision” dalle comunicazioni operative che si attuano per produrre questa vision;
• instilla “pride & recognition”: orgoglio e senso di appartenenza al gruppo;
• è chiara sui “rinforzi negativi”, punizioni e interventi correttivi: riprende i comportamenti che non vanno, non li lascia strisciare né crescere, sa farsi valere quando serve, consapevole che il futuro del gruppo dipende dalla sua coesione e dai comportamenti agiti in ogni istante che conta;
• tiene un buon battle rhythm, un ritmo di battaglia, una ritmica di messaggi e azioni che ha un suo flusso e una sua logica, una cadenza, una continuità, momenti e picchi alti e pause ragionate, in un concerto ben consapevole.
Se fossimo un’orchestra, chiediamoci: che brano vogliamo suonare ora in questo gruppo? Una marcia funebre, o la Cavalcata delle Valchirie? Un brano con sfondi emotivi allegri o tristi? Una musica epica o popolare? Che ritmi si sentono? 60, 120 battiti per minuto o 200? E per quanto una persona può tenere 200 battiti per minuto senza crollare?
Tutto questo ha a che fare con la gestione delle energie dei membri del team e soprattutto l’autogestione delle energie da parte del leader stesso. Il lavoro su di sé, da parte del leader, diventa sempre più una necessità quanto più alti sono gli obiettivi.
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Esistono molte forme di leadership. Questo lavoro di ricerca vuole esaminare anche i gruppi come “sistemi di energie”.
Le energie nutrono e gli esseri umani hanno bisogno di comunicare tanto quanto hanno bisogno di aria, di proteine, di carboidrati, grassi e vitamine. Un buon leader è quindi anche un grande motore di energie. Usa la comunicazione consapevole del fatto che essa può essere nutrimento o invece tossina. Un buon leader ama il suo team e vuole il suo bene; in caso contrario, si tratta solo di un manovratore e di un burattinaio.
Vi sono metodi diversi per classificare i tipi di leader. Alcuni vedono il leader come un condottiero operativo immischiato nella battaglia e sporco di fango tanto quanto i suoi compagni di battaglie, altri come un visionario mistico, distaccato, etereo, superiore alle banalità quotidiane.
Un’alternativa è osservare un leader come generatore di energie, un direttore d’orchestra che sa canalizzare le energie e competenze di ogni musicista entro un brano in cui possono entrare decine o centinaia di strumenti per comporre qualche cosa di meraviglioso.
Ogni volta che due o più persone si uniscono per fare qualche cosa di speciale, nasce una nuova forma di energia. Le energie di più persone che credono in qualcosa non solo si sommano ma si moltiplicano. Le intelligenze altrui diventano le nostre risorse. Le energie degli altri sono lo stimolo che ci permette di superare i nostri limiti.
In un’esplosione di forze, prende vita un’entità, da una diade sino a un firmamento di persone che si influenzano a vicenda, producendo quello che in una letteratura esoterica viene chiamata un’“egregora” positiva, un’entità mentale generata dal pensiero e dallo stato mentale del gruppo, che opera quasi a sé stante, dona energia a ogni partecipante ed è in grado di influenzare lo stato di ogni singolo appartenente al gruppo stesso.
Quando entriamo in un insieme, in un ambiente, in una riunione, in un’azienda, possiamo quasi percepire il “clima” che si respira, o come in alcune canzoni viene descritta, la “vibrazione”, vibrazioni positive o vibrazioni negative. Sentiamo letteralmente la presenza di energie o l’assenza di energie, in modo così forte e tangibile che la scienza deve ancora capire di che cosa si tratti veramente.
In altri insiemi notiamo la dominanza di “egregore” negative, stati mentali e comunicativi che drenano energie, leader tossici, e persone che inquinano il gruppo.
La leadership e la formazione, in senso forte, hanno a che fare con la creazione di gruppi in cui le persone hanno voglia di riversare le loro migliori energie venendone a loro volta ricaricate. Chi ne fa parte sente di essere entro qualche cosa di speciale, sente il proprio contributo, come il dipingere anche solo un tratto di un nuovo, fantastico, quadro a più mani.
Per farlo, occorre saper portare le persone a nuovi livelli di coscienza, e anche i leader devono saper fare di se stessi un grande laboratorio di crescita personale, per poter ispirare le coscienze e invitarle a elevarsi.
La qualità della comunicazione, intesa proprio come “tipo” di comunicazione che circola in gruppo, determina l’egregora dominante.
Quando in un gruppo predominano comunicazioni apatiche, negative, distruttive, e “leader tossici”, questo gruppo sarà presto appestato da energie emotive negative. Dove circolano messaggi chiari, circola rispetto, i messaggi sono portatori di valori, le persone si sanno ascoltare e valorizzare, allora questo gruppo viene permeato da energie emotive positive e ricarica ogni membro che vi appartiene.
La comunicazione operativa vuole fare risplendere questo firmamento nel suo pieno potenziale, alimentarlo di energie, proiettare nella sua danza, e non permettere che, come accade a tante stelle, imploda, si spenga, o si inquini. È questione di credere o meno nel potenziale umano e nel fatto di volere a tutti i costi vederlo innalzarsi nel suo splendore possibile (Trevisani 2008).
Che si tratti di gruppi di manager, di atleti, di vigili del fuoco e soccorritori, di una squadra di calcio o di pallavolo, di un’équipe marziale, di un gruppo di artisti, poco importa. Ciò che rende speciale un gruppo sono i valori che esso persegue. E come questi si trasformano in atti comunicativi di qualità.
Tali valori devono guidare i gruppi a fare cose che altri non possono nemmeno pensare o ad agire con spirito e passione.
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Siamo scintille in uno spettacolo universale di fuochi d’artificio. Noi compariamo qui, ora, adesso. Facciamo di questa scintilla un miracolo.
Daniele Trevisani
Chi dirige persone o gruppi con vera passione sente prima o poi il bisogno di migliorare le proprie modalità di comunicazione e quindi la propria leadership.
Per farlo, uno dei modi più efficaci è ispirare la propria comunicazione e la propria leadership non tanto a “regole preconfezionate” che valgono in sostanza nulla, ma piuttosto a dei “principi guida”.
Da un buon principio ispiratore possono derivare una grande varietà di regole pratiche, comportamenti positivi e soprattutto modalità di decisione molto solide.
La difficoltà decisionale è spesso dovuta alla perdita di principi ispirativi, ancoraggi solidi che possano guidare le scelte. Chi ha principi saldi difficilmente non sa che cosa vuole.
Nessun ancoraggio è forte quanto un principio che ci guida. Se cerchiamo la parola “principio” tra i suoi sinonimi troviamo “origine” e “inizio”, ed è così.
Da esso trae genesi tutto ciò che ne deriva, come un piccolo ruscello è l’origine di un fiume e di tutte le sue diramazioni, o come il tronco sorregge tanti rami e ogni foglia. La linfa vitale di un gruppo scorre dentro ai “principi guida” di cui esso si dota.
Esaminiamo alcuni aspetti fondamentali per la leadership e la comunicazione operativa.
Il primo principio: qualsiasi team, per quanto dotato di supporti materiali e tecnologie, è composto di persone, esseri umani, con i pregi e difetti che questo comporta. Gli studi sul fattore umano nei viaggi spaziali evidenziano come uno dei limiti più forti dell’essere umano in azione la human dependability, in altre parole, l’affidabilità umana, il fatto di “poter contare” su un essere così delicato come la creatura umana. Poter contare su una persona è importantissimo ma non scontato. Gli esseri umani possono essere soggetti a “malfunzionamenti” fisici non voluti (malattia, cadute, injuries, che li rendono incapaci di contribuire), ma anche a malfunzionamenti umorali, emozionali, caratteriali, proprio perché umani. Cadute emotive, umorali, motivazionali, sono altrettanto pericolose delle cadute fisiche, e allontanano dallo scopo. E tuttavia, sono proprio le fragilità che rendono gli umani così speciali. La forza potenziale delle loro emozioni, la potenza che un sentimento può generare, l’enorme beneficio quando le emozioni sono valorizzate e canalizzate bene.
Il secondo principio: chi dirige un team è anch’egli una persona, e porta nel team tutto il proprio repertorio personale positivo e negativo, capacità e valori, energie o limiti, il proprio carattere, la propria personalità, la propria storia, lo stato fisico ed emozionale, culture ed esperienze, amplificando risultati, modificandoli in meglio o in peggio. Conoscere se stessi, in questo senso, e lavorare su di sé, diventano obbligo morale, pratico, positivo e forte.
Il terzo principio, la relazione forte tra qualità comunicativa e portata della sfida affrontabile: in un team vero, le persone interagiscono tra di loro, comunicano tra di loro, sono persino costrette a farlo se vogliono coordinarsi e organizzarsi bene. La necessità di comunicare bene è tanto maggiore quanto più grande è la portata della sfida. Nei miei contributi di ricerca a ESA (European Space Agency) (Trevisani e Stene 2016) ho potuto esaminare come la comunicazione faccia la differenza tra vita e morte. Un team composto da astronauti, equipaggio e operatori della sala di controllo a terra, durante una passeggiata spaziale (Extra Vehicular Activity, EVA) comunica, e nel farlo può rischiare involontariamente la morte di un’astronauta, per colpa di un singolo messaggio sbagliato o di un singolo misunderstanding. E questo non ipoteticamente. È accaduto all’astronauta Luca Parmitano, il quale si è ritrovato in procinto di annegare nello spazio per una perdita di acqua all’interno della tuta spaziale, rientrato con l’acqua oramai sopra gli occhi; gli operatori faticavano a capire che cosa accadeva, a dare istruzioni e messaggi operativi. Lo stesso vale per un’équipe medica nei riguardi del paziente, e ogni altro team che affronta sfide difficili. La qualità della comunicazione interna ai gruppi, e la qualità comunicativa di ciascun ruolo specifico, fanno la differenza rispetto alle sfide che gli stessi possono affrontare e vincere. Comunicare bene può essere fatto con metodo, o affidandosi alla sorte (che non è mai in genere una strategia vincente). Comunicare bene serve per raggiungere scopi che i singoli, da soli, non potrebbero mai conseguire e, a volte, nemmeno sognare.
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La capacità comunicativa e l’attività della negoziazione
Comunicazione e negoziazione sono un territorio delicatissimo dell’esistenza umana.
Dalle abilità comunicative dipendono successi e fallimenti, vittorie e cadute, e la possibilità di concretizzare sogni e ideali.
I desideri, le nostre aspirazioni umane e professionali – le idee che vorremmo concretizzare – i nostri stessi progetti di vita, sono collegati a questa capacità di comunicazione, spesso inespressa, una capacità latente, un fiore da far sbocciare. Una capacità che raramente coltiviamo e studiamo.
Essa rappresenta una delle facoltà più preziose della natura umana: poter esprimere e condividere sentimenti, idee, pensieri, visioni, sogni, progetti.
L’importanza delle capacità di comunicazione può alterare (in meglio o in peggio) anche le traiettorie della propria vita sentimentale; può farci avvicinare alle persone che amiamo, o allontanarci, può generare comprensione o incomprensione, passione o tristezza, gioia o dolore.
Una buona comunicazione può dare vita ad amicizie e rapporti che durano una vita, una cattiva comunicazione determina invece il malfunzionamento o la rottura irreparabile di relazioni umane e professionali.
Per ogni essere umano, la capacità di comunicare le proprie emozioni ad altri, aprirsi, non lasciare che esse rimangano soffocate in una ruminazione mentale solo interna, è un fattore primario di salute fisica e mentale.
Le capacità comunicative arrivano persino a determinare la vita e morte di persone, come nelle negoziazioni militari o per la liberazione di ostaggi.
In questo ambito, anche i dettagli contano, ad esempio:
capire chi sono i decisori veri con cui trattare può cambiare la vita di un’azienda; può farle vincere o meno una gara, un appalto, o conquistare un cliente determinante per molti anni a venire;
un errore di battitura in un punto cruciale dell’offerta può generare senso di pressapochismo e far alzare le barriere valutative, rendendo la vendita più “in salita”; ma ancora…
una distrazione in fase di ascolto che ci faccia perdere un “segnale” importante lanciato dall’interlocutore;
cogliere o non cogliere un’occhiata o una smorfia di approvazione o disapprovazione che si lanciano due persone nel team con cui trattiamo.
È un risultato eccezionale, dal punto di vista della negoziazione e della relazione umana, capirsi tra le parti, rompere le barriere di incomunicabilità, trovare modi per avere successo cooperativo, e crescere assieme.
Di fatto, comunicatori, negoziatori professionisti, venditori, rappresentano una parte attiva della società e “muovono le cose”. Senza di loro, le aziende non potrebbero vivere.
Un’azienda senza persone in grado di vendere è un’azienda sull’orlo del baratro. Tutti gli stipendi vengono da un’unica fonte: le vendite.
Dobbiamo quindi prepararci, così come un soldato si prepara per una battaglia, un atleta per una gara, un attore per la scena.
La chiave è far crescere le nostre competenze comunicative, supportare la crescita degli altri.
Le capacità comunicative devono diventare sempre più un vero e proprio asset (risorsa strategica) e non (quando mancano) un punto di debolezza da coprire a suon di sconti, ribassi, umiliazioni, concessioni e perdite.
Per questo bisogna agire con spirito guerriero e strategico, con una mente pronta e risoluta – una mente da analista – e “gambe” pronte ad incontrare persone in ogni luogo.
Una frase antica, espressa da un Samurai giapponese, ci offre una bella rappresentazione, che spiega con poche parole questo atteggiamento:
Kenshin disse: «Il fato è in paradiso, l’armatura è sul torace, il risultato è nei piedi »
Adachi Masahiro, Samurai (scritto risalente al periodo 1780-1800)
La suggestione del Samurai Masahiro ci aiuta a capire che esistono molte aree della vita che non possiamo dominare, e altre per le quali dobbiamo e possiamo agire, sia in prima persona che in squadra.
Il “paradiso” di Kenshin sono gli scenari globali, le scelte dei competitors, la nostra armatura è la nostra preparazione, i nostri piedi sono le azioni che adottiamo.
Dobbiamo quindi distinguere le aree per le quali non vale nemmeno la pena preoccuparsi troppo, da quelle per le quali possiamo “prepararci” e fare strategia, sia che si tratti di proteggere i nostri interessi vitali (armatura) che di muoversi con scientificità tattica (i “piedi” dello Strategic Selling).
Nessun altro può farlo per noi.
Ma, per concretizzare, dobbiamo assimilare lo spirito guerriero proposto da Masahiro e adattarlo ai nostri scopi e alla nostra professione.
È indubbio che operare nella vendita oggi significhi avere coraggio.
Il coraggio di chi esce con una valigia e va a conquistare un cliente.
Il coraggio di chi affronta il mondo, di chi entra in culture diverse, in aziende nuove e sconosciute, di chi lotta contro competitors più forti, più finanziati o potenti, il coraggio di chi si muove in prima linea.
Ed ancora maggiore coraggio serve per dirigere le persone, stare a fianco degli uomini e delle donne che si muovono in prima linea, stargli vicino anche sul campo, nei momenti di difficoltà e di maggiore bisogno.
Questa è leadership. Questa è una modalità di vita.
È la scelta di chi stabilisce di non stare nelle retrovie ma di stare sul fronte, immergersi nelle tante battaglie umane e sacrifici che la vendita strategica impone a chi decide di giocare questo gioco. E di gioire per i successi.
La negoziazione è certamente un gioco difficile, ma non un gioco d’azzardo. La negoziazione seria non si prefigge mai di produrre danni gratuiti alla controparte, ma – ovunque possibile – porta avanti il principio delle “relazioni d’aiuto” (essere di aiuto agli altri) e costruire relazioni che creano valore per tutti.
Relazioni vincenti che creano benefici ad entrambe le parti.
Questo vale anche in un matrimonio, quando due persone riescono a fissare i propri spazi di libertà per i propri interessi personali (sport, cultura, giardinaggio, viaggi, etc.) senza che il matrimonio stesso divenga una gabbia, ma piuttosto una piattaforma che dia forza ad entrambi.
Vale anche tra due aziende, quando da una buona negoziazione emerge un progetto che nessuna, da sola, sarebbe riuscita a fare.Nessun risultato, tuttavia, avviene per magia. Negoziamo da quando siamo nati, e lo faremo per tutta la vita.
Serve un’attività di negoziazione e lavoro certosino sulla chiarezza dei ruoli, e dei confini dei ruoli.
Le relazioni vanno coltivate, se vogliamo vederne i frutti.
La comunicazione parte da un bisogno primario, il bisogno di entrare in relazione, in contatto con qualcuno o con qualcosa e per coloro che operano professionalmente con la negoziazione, prepararsi da professionisti è il minimo che si possa fare.
Questi bisogni richiedono un lavoro di formazione adeguato.
Prepararsi da professionisti
Esiste una grande confusione in campo aziendale su cosa sia la formazione. Alcuni pretendono di preparare negoziatori e venditori tramite un paio di ore di lezioni teoriche in cui vengono propinate teorie e concetti astratti, affidandosi a professori universitari che non hanno mai venduto niente in vita loro.
Più che una formazione classica, serve una forte “sensibilizzazione”, qualcosa che vada oltre le regole stereotipate. Ad esempio, imparare a vedere come noi reagiamo alle comunicazioni altrui, come funziona il nostro dialogo interno[2], capire come esaminare una conversazione e cogliere le sue mosse strategiche, preparasi ad essere analisti.
La formazione seria è una forma di apprendimento molto forte, parte da un’autoanalisi che nessun PowerPoint può sostituire, e ci chiede di fare i conti con chi siamo veramente.
Al contrario dei seminari tenuti dai “corsifici”, un buon coaching in profondità (coaching personale o team coaching) può aiutare la persona e il team a prestare attenzione a ciò che prima gli sfuggiva, e questo non ha niente a che fare con la formazione classica.
Bisogna aiutare le persone a muoversi da professionisti, a “pensare” come professionisti. La ricerca del Potenziale Umano che si nasconde in ogni persona non è né facile né immediata, lo sappiamo tutti benissimo. Ma, a volte, cerchiamo scorciatoie che non esistono.
Le situazioni in cui la comunicazione cambia le cose sono tante.
Possiamo avere un colloquio di lavoro nel quale si decide una svolta nella vita, nel quale far emergere chi siamo e cosa valiamo.
Gli effetti di ogni parola e di ogni gesto saranno sommatori e decisivi.
Lo stesso bisogno di essere comunicatori efficaci tocca il problema di trovare un finanziatore per progetto, o un sogno da concretizzare.
Tante situazioni, un denominatore comune: il risultato delle attività di comunicazione e negoziazione cambia la vita. Affrontare questo mondo intrigante richiede l’esame di molte variabili.
Una prima consapevolezza di fondo è il bisogno di una grande serietà in chi opera nel mondo della comunicazione e della negoziazione complessa: essere coscienti del fatto che dagli esiti di una trattativa strategica dipendono svolte di tipo professionale, effetti che cambiano la vita, propria o altrui.
Se condotte bene, gettano le basi per un futuro migliore. Se condotte male, producono danni enormi.
Una seconda certezza: per comunicare bene serve formazione specifica, l’abito mentale di chi si prepara alla negoziazione, dedica ad essa risorse mentali, la gestisce come un’attività professionale e strategica (approccio mentale del Get-Ready Mind Set), e non trascura i dettagli[3].
Una terza certezza è il bisogno di curare la “macchina” del venditore, negoziatore o comunicatore, ancora prima di preoccuparci delle sue prestazioni esterne. Una persona che sta bene, piena di energie fisiche e mentali, avrà ottime chance di esprimere anche il suo potenziale comunicativo. Al contrario, una persona fisicamente debilitata o esaurita, e psicologicamente stanca o che si sente fuori ruolo, non farà altro che errori continui.
Come sottolinea un collega e amico, importante psicologo e counselor italiano, allenatore della nazionale italiana di Apnea e di campioni del mondo di apnea, quando ci si “immerge” nelle relazioni e nelle negoziazioni si va incontro, come fa un apneista, anche a se stessi e al proprio inconscio.
Possono emergere paure o incongruenze, ansie e timori ragionevoli o irragionevoli, coscienti o subcoscienti.
Se questi ci bloccano, ci rallentano, ne subiremo gli effetti negativi.
Al contrario una persona che abbia fatto un lavoro profondo su di sé può “immergersi” tranquillamente sia in acqua che nella più difficile trattativa, senza perdere in consapevolezza emotiva e rimanendo sostanzialmente sereno nonostante l’ambiente difficile che lo circonda[4].
Cleary, Thomas (2008) (a cura di), La Mente del Samurai: Il Codice del Bushido, Mondadori. Scritto di Adachi Masahiro, Samurai (scritto risalente al periodo 1780-1800).
[2] Per il dialogo interiore nelle situazioni di consumo e scelta di acquisto, vedi Bahl, S. e Milne G. R. (2010), Talking to Ourselves: A Dialogical Exploration of Consumption Experiences, in Journal of Consumer Research, Vol. 37, June 2010.
[3] La preparazione mentale a compiti successivi, e l’utilizzo delle risorse mentali, nella Consumer Research, è stata affrontata in un articolo specifico. Vedi Bosmans Anick, Pieters Rik e Baumgartner Hans (2010), The Get Ready Mind-Set: How Gearing Up for Later Impacts Effort AllocationNow, in Journal of Consumer Research, Vol. 37, June 2010.
[4] Manfredini, Lorenzo (2010), Appunti di counseling, materiale didattico riservato, Associazione Olos e Istituto di Dinamica Mentale, Ferrara.
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Non aver paura di fare degli errori, perché non c’è altro modo per imparare come si vive.
(Alfred Adler)
La selezione di personale adatto alla Vendita Consulenziale è particolarmente difficile, in quanto si tratta di trovare persone che siano disposte all’ascolto, così come all’azione di squadra.
Persone che sappiano dare valore al proprio prodotto/servizio e trasformarlo in una soluzione adatta ai bisogni del cliente.
Tutte le persone conoscono il prezzo delle cose ma soltanto alcune ne conoscono il vero valore. (Oscar Wilde)
Gli errori principali possono avviarsi già in fase di selezione, in particolare:
quando manca una buona profilazione del candidato ideale.
quando non si realizza un forte patto psicologico con il venditore.
Evitare di porsi domande fondamentali
Ad esempio:
Quanto tempo intende rimanere il venditore presso questa organizzazione?
Considera questo posto di lavoro o posizione come definitiva, o sta inviando curriculum in giro?
È completamente fedele o usa i propri contatti anche per altri scopi (concorrenza, vendita di informazioni, contoterzismo, secondi lavori)?
È interessato al tipo di prodotto o lo trova stupido o banale o poco interessante da trattare?
Esistono molte modalità, più o meno legali, per verificare quanto sopra. Si va dal fatto che il venditore si impegni con costanza ad alimentare il CRM aziendale, o non lo faccia per niente, sino alla possibilità di installare “keylogger” sul pc aziendale del venditore per scoprire con chi e cosa comunica.
Al di là del metodo, l’essenziale è sapere o meno di poter contare su quella determinata persona.
Non difendere la squadra e i suoi membri da attacchi esterni e interni
Il leader del team di vendita deve saper difendere sia il team che i suoi membri da attacchi esterni al team, sia provenienti dall’interno dell’azienda che dall’esterno.
Esempio di attacco interno: l’area produzione boicotta un tempo di consegna o non consente di rispettare una promessa di vendita.
Esempio di attacco esterno: un cliente che si dichiara insoddisfatto mentre in realtà è un soggetto problematico in sé (dall’essere demanding oltre una soglia ragionevole, sino all’essere psicopatico), o sta cercando di ottenere merce di scambio.
Non valorizzare le autonomie
“La cosa più importante che i genitori possono insegnare ai loro figli è come andare avanti senza di loro.”
Frank A. Clark
Ogni venditore ha bisogno di una direzione che li supporti e li aiuti ad individuare strategie e obiettivi. Tuttavia, è bene pensare che la Direzione possa davvero occuparsi sempre più di strategia e sempre meno di seguire ogni singolo passo del venditore. Procedere verso l’autonomia è un grande risultato da perseguire.
Per ogni direzione che usa il metodo consulenziale, l’obiettivo (o sogno da perseguire) deve essere quello di avere una organizzazione e dei professionisti di valore, cui conferire :
più delega possibile
applicare meno controllo possibile.
Per fare questo, devono sempre essere svolte attività di sviluppo dell’autonomia che amplifichino la delega sino ai suoi massimi livelli. In questo modo la direzione potrà veramente occuparsi di mission, vision, innovazione e strategia, anziché doversi occupare di controllo costante dei dettagli.
Fissare budget di vendita non in base ai potenziali reali
Le previsioni sono estremamente difficili. Specialmente sul futuro.
(Niels Bohr)
Le vendite-target, o obiettivi di vendita, devono essere fissati sulla base dei potenziali dei territori e dei mercati, e non utilizzando come criterio semplici aumenti indiscriminati sulla base dell’anno precedente (es: +10% per tutti).
Per valutare i potenziali dei mercati, è necessario svolgere operazioni di misurazione, spesso intuitive, ma erronee, e correttamente complesse quando si voglia invece ricorrere a formule di calcolo (algoritmi). Questi calcoli puntano a calcolare la quota di mercato attuale e quella invece conseguibile come la concorrenza o competitività dei mercati di riferimento, i costi di ingresso e di uscita, le difficoltà logistiche ed operative.
Mancanza di backup dei dati, delle informazioni di vendita e intrasferibilità delle relazionali interpersonali
Se l’unico soggetto in possesso delle informazioni è il venditore, i rapporti di forza si sbilanciano e la direzione vendite è ostaggio del venditore stesso.
Devono esistere:
sistemi di backup dei dati (fisicamente) tali da poterne svolgere il recupero da più sedi. Esempio: un backup settimanale dei dati completi dal PC o “client” del venditore verso il sistema centrale, un backup giornaliero dei dati critici (es: sincronizzazione contatti e cartelle clienti);
sistemi di backup di funzione e di ruolo, tali da poter dare continuità ad un processo di vendita anche in assenza di chi lo ha iniziato o lo sta seguendo. Esempio: sapere i nominativi dei decisori e con chi parla il nostro venditore entro l’azienda cliente.
Nella vendita consulenziale – che fa perno sul valore della consulenza data dalla persona (venditore) alla persona (cliente) – si assiste al fenomeno della intrasferibilità delle relazioni interpersonali (mi fido di te, conosco te di persona), mentre nella vendita distributiva (es, in una Grande Distribuzione) la fidelizzazione umana è decisamente più blanda o in alcuni casi (in un discount) quasi assente.
L’obiettivo del backup relazionale è molto più difficile da perseguire (ma comunque importante) nelle aziende che adottano la tecnica della vendita consulenziale, dove molto affidamento viene dato ai rapporti umani personali, ai valori relazionali che non si possono “backuppare” come se si trattasse di bits.
Per questo motivo, la quota relazionale totale (il totale dei contatti di relazione umana con i clienti), va esplosa su più livelli:
il contatto del venditore (prevalente);
il contatto della direzione in affiancamento con il venditore (portandolo ad un grado almeno annuale, o sino a semestrale o trimestrale nei clienti top);
il contatto umano delle segreterie organizzative, che devono essere portate a conoscenza del metodo consulenziale e devono esse stesse adottare stili comunicativi di alta qualità e attenzioni individuali;
la possibilità di avere un quadro completo informatizzato del sistema cliente, tale che ad ogni contatto e ad ogni telefonata possiamo sempre avere sott’occhio le informazione determinanti di quel cliente e non essere sprovveduti.
Fuoriuscita di informazioni riservate
La Direzione di un team di vendita deve prevedere possibilità anche molto negative, e porre attenzione a:
Furti esterni di dati e lavoro, causati da falsi acquirenti (spesso concorrenti) che intendono ottenere solo informazioni o progettualità gratuita.
Furti interni di dati, soprattutto prima di licenziamenti o dopo aver subodorato intenzioni di licenziamento (del venditore o da parte della direzione).
Consentire deviazioni dal modello di chiarezza di quale sia la situazione e risultato atteso dal cliente (modello X Y)
Per me la più grande bellezza sta sempre nella massima chiarezza.
(Gotthold Ephraim Lessing)
Il principio base del Solutions Selling è che si vendono soluzioni per aiutare un cliente e risolvere/anticipare i suoi problemi attuali e/o futuri. Quali sono quindi questi problemi? Questo deve essere chiaro.
Il leader della direzione vendite non deve accettare trattative in cui non sia chiaro cosa vuole veramente il cliente e da quale situazione si parte (vedi modello XY di customer satisfaction).
Senza avere compreso la situazione del cliente e quali problemi dobbiamo risolvere (o obiettivi da conseguire) non può aver luogo alcun processo di vendita realmente consulenziale
Mancanza di doppio focus: sugli anelli forti (Strong Points) e sugli anelli deboli (Weak Points) della catena di vendita
Ogni catena di vendita – intesa come sequenza di attività/operazioni finalizzate alla vendita, ha una propria sequenza logica, realizzata da persone e svolta tramite procedure.
All’interno di questa sequenza nessuna organizzazione è perfetta, ed è positivo tendere all’ottimizzazione con una particolare attenzione a due punti:
non perdere i vantaggi conseguiti grazie agli anelli forti: tenere particolarmente conto delle persone e delle procedure/modalità contributive e vincenti, fare di tutto per mantenerle, coltivarle, estenderle, amplificarle;
non vedere o far finta di non vedere gli anelli deboli della catena (persone o procedure); questi vanno invece osservati e trattati con metodi di coaching, counseling o formazione, per farli crescere.
Le domande chiave da porsi rispetto all’organigramma di vendita :
Su quali aree potremmo lavorare per migliorare?
Dove sono i nostri punti di forza?
Dove sono i nostri punti di debolezza?
Di chi mi posso fidare e per cosa, in relazione alle sfide da sostenere?
Chi mi dà energie?
Chi mi toglie energie?
Comunicazione, motivazione e incentivazione della rete di vendita
Sii sempre come il mare che infrangendosi contro gli scogli, trova sempre la forza di riprovarci. (Jim Morrison)
Il problema della motivazione va separato nettamente dal tema della fattibilità di una pratica motivante legata alle legislazioni nazionali sul campo del lavoro. La motivazione ha basi psicologiche e su queste è per noi opportuno concentrarsi, per poi eliminare dal campo o ridisegnare le soluzioni giuridicamente sostenibili.
Vediamo quindi quali sono alcuni dei presupposti della motivazione e incentivazione delle reti di vendita:
Il fattore grounding organizzativo: l’incentivazione dipende dalla qualità organizzativa e dal senso di solidità aziendale: è più facile incentivare quando si ha la percezione di un buon supporto organizzativo;
Il fattore grounding nel ruolo: la motivazione dipende dal grado di role-fitting (benessere nel ruolo, centratura tra ruolo e personalità/self);
il fattore della prospettiva temporale (sua lunghezza e densità): un orizzonte vuoto spaventa, così come un orizzonte incerto;
il fattore della correlazione sforzo-risultato: deve esistere un sistema premiante che crei un meccanismo di feedback positivo, rafforzando la convinzione che lo sforzo premia, e la struttura nella quale si sta lavorando è una “macchina da feedback positivo”;
il fattore della qualità dei climi organizzativi: così come esistono ambienti fisicamente inquinati, possono esistere ambienti psicologici inquinati e demotivanti. È ruolo della leadership capire chi inquina, cosa inquina, e rimuovere i fattori inquinanti dal sistema;
il fattore delle comunicazioni in ingresso, la qualità comunicativa, day-by-day, che colpisce il soggetto, la sua frequenza, natura e tipologia, un fattore di tale importanza da far emergere il bisogno di un vero e proprio piano di comunicazione internaper il team di vendita.
Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni. (Eleanor Roosevelt)
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Il Life Coaching è una grande forma di emancipazione di sè in cui la persona cerca di ri-tarare, con un supporto professionale, la direzione della propria vita, il suo approccio al corpo (da oggetto quasi inutile, a risorsa preziosissima) e gli stili di pensiero che usa, sino a dettagli fondamentali. Tra questi, allargare e selezionare la gamma delle fonti informative e comunicative che usiamo, facendo pulizia netta da stili mentali disfunzionali e cercando attivamente stili di pensiero utili, decisivi, che portino una capacità assertiva di attacco ai problemi, o capacità di rilassamento, meditazione e unione con valori universali.
Viviamo per riprodurre non solo DNA ma anche “memi”, tracce mentali, e di questo processo vogliamo essere non gli spettatori ma i protagonisti. Il meme, a sua volta ricavato dal greco mímēma ‘imitazione’, tende a replicarsi, e noi siamo sia vittime di questi virus (riceventi) che agenti virali (emittenti).
Assorbiamo idee e poi le emettiamo. Vogliamo finalmente imparare a filtrare le idee in ingresso e stare allerta sul fatto che quelle che esprimiamo siano davvero nostre, e non ci limitiamo a fare da grancassa ad idee altrui?
La “memetica” o scienza delle idee, ci ricorda che noi siamo anche responsabili di andare a caccia attivamente di “memi” buoni (concetti, pensieri, idee), in qualsiasi campo dell’espressione umana e della natura: un giornale, un libro, un programma televisivo, un sito web, un canale digitale, un tipo di musica, un paesaggio – e stare alla larga e anzi depurarci da “memi tossici”.
È ovvio che la memetica per il suo potere rivoluzionario sia non solo poco studiata ma anche ostacolata dalle accademie e potentati politici.
Questo comporta per noi una responsabilità etica, di incidere su cosa leggi e cosa guardi, come ti informi, a cosa presti attenzione, e anche un grande intervento di Coaching sul “Comunicare”.
Sappiamo di esistere e vogliamo – istintivamente – metterci in contatto con altre creature viventi. E’ nel nostro DNA, scritto nei geni.
Questa parte della vita è chiamata “comunicazione interpersonale”.
Ma presto scopriamo che le nostre idee non vengono capite immediatamente, l’altra “persona” sembra non capire o non capire fino in fondo, o non gli interessa assolutamente niente di noi, come se tra di noi ci fosse una barriera, e quella barriera esiste.
Si chiama “incomunicabilità”, e qualche livello, chi più chi meno, tocca tutti i rapporti.
Per cui anziché maledirla, scopriamo che lavorare su di sè, sulla propria mente, sul proprio corpo, sulla propria efficacia nella comunicazione, è importante.
E allora, serve la grande dote coltivabile del continuare a crederci.
Non la forza, ma la costanza di un alto sentimento
fa gli uomini superiori.
Friedrich Wilhelm Nietzsche
E se da bambini pensavamo che fare l’astronauta tutto sommato non fosse difficile, crescendo la vita inizia a sbatterci porte in faccia e le porte in faccia fanno male. Che si tratti di lavorare in azienda, di farsi assumere, di avere una propria attività e vendere i propri servizi, di portare le persone a fare una vacanza dove vorremmo noi, di uscire con una persona che ci piace, di far passare un nostro progetto. Scopriamo che la vita è dura.
Di fronte a questa scoperta, alcuni si ritirano, fanno marcia indietro, si racchiudono in una vita stereotipata dove non ci sia tanto da spiegare a nessuno né qualcosa di speciale da fare. Si rintanano in un loculo sempre più stretto. Quando vince il ciclo “produci – consuma – muori – taci” sei finito.
Altri non ci stanno, iniziano a studiare, a lavorare sulla propria mente, sul corpo, su come arrivare al cervello altrui e capire meglio le idee altrui. E a far capire le proprie idee, e flessibilizzare le proprie. Ad avere un rapporto diverso con il proprio corpo, a praticare discipline olistiche e vedere quanta libertà riescono a rubare ad un sistema che invece ti vorrebbe ingabbiato. A questi eroi è dedicato questo lavoro.
Viviamo in una finestra di spazio-tempo grande come un granello di sabbia nell’immensità del tempo. Siamo piccoli, molto piccoli. Ma le nostre idee possono essere grandi, immense. E la vita è li a sfidarci: Vuoi ritirarti nella tua nicchia o vuoi uscire e combattere?
E se decidiamo di uscire, possiamo fruire di questa opportunità in una finestra di spazio-tempo molto stretta, la nostra vita terrena. L’epoca in cui nasciamo, la nazione e la zona in cui siamo venuti alla luce, non le abbiamo scelte, ma lì si gioca questa battaglia tra buio e luce, tra oppressione e libertà di vivere a pieno.
Il coaching vuole dare il massimo del senso possibile a questa “finestra temporale” riaprendo il mondo delle scelte possibili e allargando i nostri orizzonti di vita, mentre il counseling si occupa di rimuovere alcune “incrostazioni” (psicologiche, relazionali, modelli mentali e comportamentali) che possono rendere difficoltosa l’apertura delle nostre finestre di vita e l’ingresso di luce e aria nella nostra esistenza.
La psicologia, come scienza, fa da sfondo a cui attingere così come una cava ricca di metalli preziosi da cui si ricavano gioielli, ma non è il gioiello. E’ lo strumento, uno degli strumenti, in alcuni case la fonte, in altri un ingrediente. Sta al lavoro di un coach, di un Counselor, di un consulente, di uno psicologo o terapeuta, di un fitness trainer, di un consulente, la capacità di creare la magia, prendere questi metalli grezzi e trasformarli nel gioiello che vada bene per te e porti la tua vita a risplendere nella gioia, e la tua anima ad avere il sorriso.
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Una particolare dote necessaria per chi vuole applicare la Direzione Vendite nel Metodo ALM è quella di favorire nei venditori un atteggiamento empatico, e più in generale l’empatia verso il cliente.
L’approccio empatico prevede una concezione opposta al “parlare addosso al cliente”: ascoltare in profondità per capire la mappa mentale del nostro interlocutore, il suo sistema di credenze (belief system), e trovare gli spazi psicologici per l’inserimento di una proposta.
Nel metodo ALM distinguiamo alcuni tipi principali di empatia:
Empatia comportamentale: capire i comportamenti e le loro cause, capire il perché del comportamento e le catene di comportamenti correlati.
Empatia emozionale: riuscire a percepire le emozioni vissute dagli altri, capire che emozioni prova il soggetto (quale emozione è in circolo), di quale intensità, quali mix emozionali vive l’interlocutore, come le emozioni si associano a persone, oggetti, fatti, situazioni interne o esterne che l’altro vive.
Empatia relazionale: capire la mappa delle relazioni del soggetto e le sue valenze affettive, capire con chi il soggetto si rapporta volontariamente o per obbligo, con chi deve rapportarsi per decidere, lavorare o vivere, quale è la sua mappa degli “altri significativi”, dei referenti, degli interlocutori, degli “altri rilevanti” e influenzatori che incidono sulle sue decisioni, con chi va d’accordo e chi no, chi incide sulla sua vita professionale (e in alcuni casi personale).
Empatia cognitiva (o dei prototipi cognitivi): capire i prototipi cognitivi attivi in un dato momento del tempo, le credenze, i valori, le ideologie, le strutture mentali che il soggetto possiede e a cui si ancora.
Elementi positivi e distruttivi dell’empatia
L’empatia viene distrutta o favorita da specifici comportamenti comunicativi e atteggiamenti.
Favorisce l’empatia
Distrugge l’empatia
Curiosità
Disinteresse
Partecipazione reale all’ascolto, non finzione
Fingere un ruolo di ascolto solo per dovere professionale
Riformulazione dei contenuti
Giudizio sui contenuti, commenti
Pluralità di approcci di domanda (domande aperte, chiuse, di precisazione, di focalizzazione, di generalizzazione)
Monotonia nel tipo di domande
Centratura sul vissuto emotivo
Centratura esclusiva sui fatti
Segnali non verbali di attenzione
Body Language che esprime disinteresse o noia
Segnali paralinguistici di attenzione, incoraggiamento ad esprimersi, segnali “fàtici” (segnali che esprimono il fatto di essere presenti e attenti)
Scarsa dimostrazione di interesse e attenzione al flusso di pensieroAssenza o scarsità di segnali “fàtici” e di contatto mentale
La comunicazione d’ascolto, e la qualità dell’ascolto, comprendono la necessità di separare nettamente le attività di comprensione (comunicazione in ingresso) dalle attività di espressione diretta (comunicazione in uscita).
Formare i venditori all’ascolto e pretendere che applichino un ascolto attivo e di qualità
Se c’è un’area prioritaria sulla quale vanno formati i venditori, questa è proprio l’ascolto del cliente.
Cosa trasmettere in una formazione vendite volta a potenziare l’ascolto? Innanzitutto, il fatto che si va ad un incontro con un cliente soprattutto per ascoltare, e che durante le fasi di ascolto è necessario:
non interrompere l’altro;
non giudicarlo prematuramente;
non esprimere giudizi che possano bloccare il flusso espressivo altrui;
non distrarsi, non pensare ad altro, non fare altre attività mentre si ascolta (tranne prendere eventuali appunti), usare il pensiero per ascoltare, non vagare;
non correggere l’altro mentre afferma, anche quando non si è d’accordo, rimanere in ascolto;
non cercare di sopraffarlo;
non cercare di dominarlo;
non cercare di insegnargli o impartire verità, trattenere la tentazione di immettersi nel flusso espressivo per correggere qualcosa che non si ritiene corretto;
non parlare di sé tranne che per quanto sia necessario alla trattativa o colloquio;
testimoniare interesse e partecipazione attraverso i segnali verbali e il linguaggio del corpo;
Di particolare interesse risultano gli atteggiamenti di:
interesse genuino e curiosità verso la controparte: il desiderio di conoscere ed esplorare la mente di un’altra persona, in questo caso del cliente, e della mappa dei decisori, attivare la curiosità umana e professionale;
silenzio interiore: creare uno stato di quiete emozionale (liberarsi da emozioni negative e pregiudizi) per ascoltare l’altro e rispettarne i ritmi.
Formare i venditori ad avere un atteggiamento empatico aiuta a sviluppare un rapporto speciale con il cliente
La Direzione Vendite trae grande vantaggio dall’avere venditori consulenziali empatici. Ma, empatia e simpatia non sono sinonimi.
Empatia significa capire (es: capire perché un cliente posticipa un acquisto o vuole un prodotto di basso prezzo, o ci parla di un certo problema).
Simpatia significa invece apprezzare, condividere, essere d’accordo.
La vendita di tipo “Solutions Selling” richiede l’applicazione dell’empatia e non necessariamente della simpatia. L’essenziale è capire qual è il problema da risolvere nel cliente, non per forza offrirgli champagne.
L’ascolto attivo e l’empatia non vanno confuse con l’accettazione dei contenuti altrui o dei loro valori.
Le regole di ascolto attivo non sono regole di accettazione del contenuto, ma metodi che permettono di far fluire il pensiero altrui più liberamente possibile per ricavarne apertura e informazioni utili.
La fase di giudizio interiore su quanto ascoltiamo, inevitabile durante la negoziazione, deve essere “relegata” alla nostra elaborazione interna, tenuta per fasi successive della contrattazione, e non deve interferire con la fase di ascolto. Quando il nostro scopo è ascoltare dobbiamo ascoltare.
Per farlo dovremo:
sospendere il giudizio,
dare segnali di assenso (segnali di contatto, segnali fàtici),
cercare di rimanere connessi al flusso del discorso,
fare domande ogniqualvolta un aspetto ci sembra degno di approfondimento,
non anticipare (es: sono certo che lei…) e non fare affermazioni,
limitarsi a riformulare i punti chiave di quanto detto dall’altro,
non interrompere inopportunamente.
È necessario riservare il nostro giudizio o fare puntualizzazioni solo dopo avere ascoltato in profondità e all’interno di un frame negoziale adeguato.
L’obiettivo delle tecniche empatiche è quello di favorire il flusso del pensiero altrui, e di raccogliere quanto più possibile le “pepite informative” che l’interlocutore può donare. L’empatia, se ben applicata, produce “flusso empatico”, un flusso di dati, informazioni fattuali, sentimentali, esperienziali, di enorme utilità per il negoziatore.
Il comportamento contrario (giudicare, correggere, affermare, bloccare) spezza il flusso empatico, e rischia di arrestare prematuramente la raccolta di informazioni preziose.
Esiste un momento nel quale il venditore deve arrestare il flusso del discorso altrui (momento di svolta, turning point) ma in generale è bene lasciarlo fluire, finché non si sia compreso realmente con chi si ha a che fare e quali sono i veri obiettivi, e tutte le altre informazioni necessarie.
Le tecniche empatiche sono inoltre d’aiuto per frenare la tendenza prematura alla disclosure informativa di sé: il dare informazioni, il lasciar trapelare dati inopportunamente o prematuramente su di noi.
Dare al cliente informazioni e dati che potrebbero risultare controproducenti genera un effetto boomerang. Ogni informazione deve essere fornita con estrema cautela.
L’atteggiamento empatico è estremamente utile per concentrare le energie mentali del negoziatore sull’ascolto dell’altro e frenare le nostre disclosure inopportune.
Sviluppare una comunicazione empatica fa bene
L’empatia è il contrario della distrazione, dell’ascolto giudicante, del non ascolto. L’empatia è ascolto allo stato puro. L’empatia richiede attenzione e concentrazione sull’altro, per cui sia il corpo che la mente devono essere presenti, acuti e pronti a cogliere ogni parola e ogni significato che emerge. La distrazione rende l’empatia impossibile.
L’empatia è uno stato superiore, estremamente avanzato, di una relazione umana. Potremmo definirlo come il sapersi mettere nei panni degli altri per poter sentire e percepire quello che essi provano.
L’empatia è rara perché richiede la sottile capacità di sintonizzarsi emotivamente, e capire i livelli più nascosti, emotivi e personali, del vissuto del nostro interlocutore, più che i dati numerici o oggettuali che ci espone. Utilizza inoltre la metacomunicazione (letteralmente “comunicare sulla comunicazione stessa”) ad esempio chiede senza timori il significato di un termine che non comprende, o, nelle poche occasioni in cui l’ascoltatore parlerà, lo farà per spiegare concetti che servono al processo comunicativo stesso.
L’ascolto empatico è di una rarità impressionante. Possiamo dire di averlo incontrato l’ultima volta in cui una persona ci abbia dedicato un’ora di tempo senza raccontarci niente di lui o lei, per ascoltare solo quello che noi avevamo noi da dire, facendoci domande per capire meglio, non solo le nostre informazioni, ma le nostre emozioni. Bene, se è successo, si è trattata probabilmente di una sessione di coaching, di counseling o di terapia. Raro che succeda nella vita quotidiana. La vita quotidiana è così piena di distrazioni esterne e di “rumori interni” della mente, che l’ascolto empatico non vi trova in genere posto.
Le persone sono sempre più distratte e così facendo, non ascoltano più, né attivamente, né empaticamente. La vendita professionale richiede invece di riportare l’ascolto al centro della scena.
La componente più difficile dell’ascolto empatico è certamente la sospensione del giudizio. Se qualcuno dice “ho buttato via il pane” o “ho gettato il sacco della spazzatura dal finestrino”, è praticamente impossibile non giudicare negativamente. Ma la “sospensione” del giudizio significa appunto “sospenderlo”, non “farlo sparire”.
Sospenderlo affinché si possa capire meglio cosa, dove, come, perché avvengono certe cose. Se non lo facessimo avremmo perso larga parte delle informazioni che invece potevano uscire.
E questo, vale anche e soprattutto nella vendita consulenziale.
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Articolo a cura di: Cristina Turconi – Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Practitioner in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE
Motivare un individuo o un gruppo di lavoro in ambito professionale può rivelarsi un’impresa difficile.
Risvegliare quel desiderio a contribuire, a devolvere le migliori intenzioni e energie ad ogni singola prestazione, è come partire per un lungo viaggio che attraversa la storia individuale e la personalità di ciascun collaboratore.
Per essere produttivi è necessario stare bene con sé stessi. Ogni responsabile dovrà fare in modo che i propri collaboratori si sentano a proprio agio nel contesto in cui si trovano ad operare, sia a livello personale che professionale.
Come riuscire a trovare le chiavi di successo che possano far sentire ogni singolo collaboratore parte di qualcosa di speciale, di arricchente che doni gratificazione, stimolo e senso di appartenenza?
Il Modello 4Colors® è un valido supporto in quanto permette di decodificare 4 Personalità-Colore che corrispondono a specifiche tipologie di comportamento, stile di pensiero e processo decisionale, e riconoscere ciò che è davvero importante per ogni componente del Team.
Collaboratore Rosso: [1]
È concentrato sui risultati e estroverso; cerca sempre di distinguersi dal gruppo.
È come una forza motrice che traina gli altri membri che tendono a seguirlo.
Orientato all’azione, è anche veloce agli occhi di coloro che preferiscono pensare a fondo prima di agire.
Reattivo, ha difficoltà a tollerare che gli altri non vadano alla sua velocità.
Può essere molto critico nei confronti degli altri rossi della squadra con cui è in competizione, così come delle decisioni prese dal suo capo, dal quale si aspetta una competenza estrema e un modello da seguire.
A seconda della situazione, può diventare un leader positivo o un leader negativo. Gioca il ruolo di “capitano”, il capitano della squadra o del progetto.
È concentrato sulle relazioni ed estroverso; il giallo è quello con la più naturale propensione a comunicare e a interagire in quanto ha “bisogno degli altri”.
Un giallo in una squadra è come il tuorlo in una maionese! Porterà il suo dinamismo, il suo entusiasmo, il suo calore, il suo umorismo, il suo senso del compromesso per mantenere attive le connessioni con tutti gli altri.
Ha un enorme bisogno di riconoscimento e ama essere visto nella sua “unicità” e “preziosità”.
Lavora bene solo in un’atmosfera piacevole che tende a far dimenticare l’orientamento ai risultati.
Per lui è difficile non poter piacere a tutti, soprattutto ai blu che sono infastiditi dalla sua estroversione e dalla sua energia esuberante.
Svolge il ruolo di colui che sforna idee originali, stimoli innovativi e creatività.
È orientato alle relazioni ma introverso, mostra grande capacità di ascolto, empatia e rispetto per gli altri.
È riconosciuto come un membro flessibile con cui è facile cooperare.
È disposto ad accettare le decisioni degli altri pur di evitare conflitti.
Messo in una situazione di stress, come in un contestoi di cambiamento, può sviluppare una sorta di “immobilismo” caratterizzata da una lentezza estrema che irriterà i rossi.
È il guardiano della coerenza e della perseveranza e tende a costruire relazioni profonde, durature e fedeli.
Fattori chiave: essere utile agli altri – portare stabilità e coerenza al gruppo – prendersi cura delle persone.
Collaboratore Blu:
È orientato al compito e introverso; è il meno compatibile per natura a lavorare in gruppo in quanto preferisce lavorare da solo (possibilmente con la porta chiusa).
Il suo essere riflessivo e metodico, aiuta ad analizzare in profondità ogni compito infondendo calma e sicurezza al gruppo.
È prezioso per perseguire compiti complessi a lungo termine ai i quali riserverà sempre lo stesso livello di cura e impegno.
Il suo senso del rigore gli impedisce di lavorare e divertirsi allo stesso tempo.
La sua mancanza di leggerezza e la sua eccessiva rigidità possono generare conflitti con i gialli.
I rossi lo criticheranno per essere troppo perfezionista, troppo lento e poco assertivo.
È colui che raccoglie tutte le informazioni necessarie prima di iniziare qualsiasi compito e verifica con estrema pignoleria le criticità di ogni progetto.
Fattori chiave: perseguire alti standard di qualità – sicurezza – analisi delle criticità – pianificazione e metodo – cura del dettaglio.
Salvaguardare I fattori chiave di ogni Personalità-Colore significa lavorare per alimentare le energie motivazionali di tutto il Team.
Ogni volta che ogni singolo collaboratore si sentirà accettato, apprezzato e vedrà riconosciuta l’unicità del suo contributo al gruppo, sarà stimolato a contribuire al team stesso di cui fa parte o al suo benessere complessivo.
[1] Manager avec les couleurs; Forger son propre style. Motiver chaque collaborateur. Maitriser les situations de management – B. Boussuat, P. David, J.M. Lagache – Dunod, Paris 2008.
Cristina Turconi Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Practitioner in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE
Gli psicologi della Gestalt sono stati in grado di scoprire alcuni principi fondamentali dell’organizzazione visiva. Tra questi, il principio della continuità evidenzia che i contorni basati su linee di continuità arrotondate sono preferiti rispetto a bruschi cambiamenti di direzione.
Ad esempio, nella figura seguente identificheremo più probabilmente un incrocio tra la linea AB e la linea CD, che un incrocio tra la figura AD e la figura CB.
Ancora, confrontando immagini visive, la psicologia della Gestalt evidenzia il tentativo continuo che gli uomini attuano di capire il rapporto tra figura e sfondo. Ad esempio analizzando la famosa figura ambigua dello psicologo danese Edgar Rubin è possibile vedere sia una coppa che due volti, a seconda di quale porzione dell’immagine si scelga di utilizzare come sfondo.
Immagine ambigua (Rubin)
Ciò che i principi di organizzazione visiva della Gestalt suggeriscono è che le persone vedono la realtà secondo schemi cognitivi forniti anche da variabili culturali e apprese, non solo innate. I principi della Gestalt rinforzano la nozione che il mondo non sia semplicemente e oggettivamente “là fuori”, ma venga costruito attivamente dai processi di percezione, a seconda di quali “parti del mondo” si decida di osservare.
Lo stesso oggetto può assumere dimensioni e connotazioni di magnitudine diversa. L’esempio visivo che segue è conosciuto come l’illusione di Ebbinghaus.
Illusione di Ebbinghaus
Si tratta di un’illusione dimensionale, che fa apparire il cerchio di sinistra significativamente più grande del cerchio di destra. Questo rende un esempio chiaro e visivo del concetto semiotico di posizionalità dei significati: un significato assume valore solo in relazione ad altri significati.
In termini di impatto, ogni esperienza soggettiva è condizionata dagli schemi appresi, cioè dai “filtri” con i quali abbiamo appreso a guardare il mondo.
Questo spiega, tra l’altro perché sia possibile che alcune persone povere considerino la propria vita dignitosa e felice, mentre per alcune persone ricche la vita sia un inferno, piena di preoccupazioni, stress e ansia, fino al suicidio.
Analizzare la Gestalt di marketing significa valutare (1) le interazioni tra i molteplici elementi (parti) di cui si compone il prodotto/servizio/prestazione, e (2) l’effetto complessivo che ne emerge, in termini di impatto sul cliente. Significa quindi andare oltre la semplice somma delle parti, e capire l’effetto complessivo, globale, sinergico, di un insieme di input con i quali il cliente viene a contatto.
La psicologia della Gestalt ha evidenziato come, di fronte ad un insieme di percezioni, colui che percepisce tende ad organizzare i diversi stimoli in maniera coerente secondo schemi precostituiti, ed il tutto crea qualcosa di diverso dall’insieme delle parti.
Il cubo di Necker è un esempio di come un insieme di elementi costituisca una Gestalt, dimostrando che la percezione è qualcosa di più di una semplice “ricezione” passiva di stimoli, ma diviene nella mente umana “organizzazione” attiva degli stimoli provenienti dall’esterno.
L’insieme di oggetti presenti sul piano dell’immagine viene infatti organizzato percettivamente sino ad identificarvi una forma geometrica – un cubo, oggetto che in realtà non esiste, un oggetto virtuale che viene “costruito” dal fruitore. Questo accade anche nella percezione di altri “oggetti mentali”.
Cubo di Necker
Triangolo di Kanizsa
Sfera di Idesawa
“Mostro marino” di Tse
Così come dall’organizzazione di queste figure è possibile percepire qualcosa di diverso dalla semplice somma dei componenti, l’organizzazione del design del prodotto, la somma dei suoi elementi percettivi – visivi, olfattivi, tattili, gustativi – crea una realtà che è diversa dalla somma delle parti.
Il prodotto è quindi una Gestalt, una realtà complessa superiore ad una semplice somma di componenti, un’entità che acquista una personalità propria anche in relazione a come i diversi componenti si rapportano tra loro. L’impresa stessa, il valore del suo marchio, il valore della sua offerta, costituiscono un’insieme di Gestalt di livello ancora superiore. Le implicazioni che ne derivano sono la contaminazione continua (positiva o negativa) tra elementi comunicativi dell’impresa, tra la comunicazione del sito web e una visita aziendale, tra il packaging e la pubblicità, tra una promozione e la percezione del valore del marchio, in un crescendo di interazioni complesse.
La ricerca della strutturazione e della congruenza con i propri schemi cognitivi è una delle costanti della mente umana. Il tentativo di semplificazione della complessità, la ricerca di categorie in cui incasellare gli eventi e le cose, la strutturazione di elementi in insiemi omogenei, nasce da un bisogno di consistenza, di coerenza tra elementi, di omogeneità di senso e significato.
Le illusioni ottiche dimostrano che non sempre quello che si percepisce è corretto. Ad esempio, molti sarebbero disposti a giurare sul fatto che le linee della figura successiva non siano parallele, mentre in realtà esse sono esattamente parallele.
Illusione di Zollner
Le implicazioni per la psicologia del prodotto sono numerose e si riferiscono alla necessità di considerare il prodotto anche nei suoi minimi dettagli. L’esperienza totale di prodotto (ETP) si forma per organizzazione di una molteplicità di dettagli. La somma dei dettagli costruisce una Gestalt di prodotto – una visione d’insieme. Ogni dettaglio del prodotto è significativo, coerente o incoerente, consonante o dissonante, rispetto all’immagine globale.
Il cliente non valuta un prodotto o un’impresa per quello che sono realmente. Egli elabora input che provengono da un insieme percettivo di contatto (ogni elemento, oggetto, persona, lettera, packaging, media, che veicola qualcosa dell’impresa e del prodotto, nel momento in cui il cliente li incontra). Questo insieme di contatto può produrre informazioni distorte o divergenti dalle intenzioni aziendali.
La presenza di elementi dissonanti, in questo insieme, contravviene al tentativo del consumatore di formare una immagine coerente di prodotto, e genera un effetto negativo a catena su tutto il processo valutativo.
Ad esempio, nelle prime fasi di contatto con l’impresa, potrebbe succedere che (1) venga visitato innanzitutto il sito aziendale con funzione di orientamento e valutazione preliminare, e (2) vengano ricercate informazioni ulteriori sulla società tramite altre fonti. Se il sito aziendale è sbagliato e proietta un’immagine negativa, le ricerche ulteriori di informazioni sull’impresa saranno guidate da un tentativo latente di ottenere conferme negative, che rinforzino l’opinione iniziale scaturita dalla navigazione del sito, ed evitino l’instaurarsi di una dissonanza interna.
Le contaminazioni tra elementi possono portare a detrazioni di immagine le quali si traducono immediatamente in riduzioni di fatturato, nel momento stesso in cui generano una minore propensione all’acquisto.
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Articolo Copyright. Estratto dal volume Self Power, di Daniele Trevisani – www.studiotrevisani.it – www.danieletrevisani.com